Ecco di cosa si tratta Un medico: «La sindrome mediterranea penalizza i pazienti»

hm, ats

20.3.2024 - 15:54

Immagine d'illustrazione
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archivio Ti-Press

La sindrome mediterranea penalizza i pazienti: il pregiudizio vuole che certe popolazioni esagerino le loro manifestazioni di dolore, ma ciò può portare a gravi conseguenze, spiega un medico intervistato oggi da 24 Heures.

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Cos'è la sindrome mediterranea? «Si tratta dell'idea che le persone provenienti da determinati paesi o regioni tendano a esprimere il proprio dolore in modo esagerato, perché sono esuberanti o appartengono a una comunità che tende a drammatizzare le cose», risponde Jean-Baptiste Ngassop, viceresponsabile dell'assistenza ai migranti presso Unisanté, centro universitario di medicina generale e salute pubblica a Losanna.

«In realtà, il tema non è confinato al Mediterraneo: si è evoluto con le ondate migratorie, fino a comprendere popolazioni provenienti dal Nord Africa, dall'Africa sub-sahariana e persino dalla Polonia», prosegue l'esperto. «Il fenomeno è conosciuto anche con altri nomi, come sindrome transalpina, nordafricana o polacca».

«Il pensiero alla base è emerso dopo la Seconda guerra mondiale, con la grande ondata di immigrati dall'Italia. Questa comunità ha sofferto di problemi di adattamento e di crisi di identità. Tutto ciò ha portato a veri e propri problemi di salute. I curanti non si erano mai confrontati con tali patologie e, invece di esaminarle in modo oggettivo, hanno creato una categoria speciale. C'era un problema medico su cui non si aveva controllo e si sono semplificate le cose parlando di una tendenza a esagerare».

Il pregiudizio c'è ancora

Il pregiudizio c'è ancora. «Le cose sono cambiate, ma i curanti sono ancora influenzati da vari pregiudizi razziali nel modo in cui trattano i pazienti. Uno studio condotto negli Stati Uniti, ad esempio, ha dimostrato che i neri americani sono sotto-trattati in relazione al dolore rispetto ai bianchi americani. I medici e i pazienti devono quindi essere sensibilizzati su questi temi per evitare che tali pregiudizi influenzino il trattamento».

«Corriamo il rischio di non curare adeguatamente il dolore, ma anche di sbagliare una diagnosi perché non scaviamo abbastanza a fondo», spiega il dottore di origine africana.

«Prendiamo il caso di una persona con forti mal di testa. Normalmente se un paziente di questo tipo prova un dolore insopportabile che non risponde ai trattamenti convenzionali, dobbiamo verificare che non ci siano altri problemi, come un'emorragia nella testa o una compressione. Ad esempio, il paziente potrebbe essere sottoposto a una TAC. Ma se sottovalutiamo il dolore corriamo il rischio di offrire solo farmaci: questo può avere conseguenze drammatiche, persino fatali».

Un caso successo in un ospedale svizzero

In Francia sono sorte delle discussioni in seguito a decessi. L'intervistato cita però anche un esempio elvetico. «Un uomo africano ha riportato diversi tagli alla caviglia dopo essere caduto su una porta a vetri. Al pronto soccorso le ferite sono state suturate senza tenere conto del fatto che il paziente lamentava forti dolori. L'uomo è tornato al lavoro utilizzando dei bastoni da passeggio. Dopo cinque mesi di sofferenza, è stato effettuato un esame più approfondito. Si scoprì che tre legamenti erano stati recisi. È stato operato sei mesi dopo l'incidente ed è stato necessario un innesto per salvare la caviglia».

D'altra parte – chiede la giornalista della testata vodese – non vi sono alcuni pazienti che esagerano? «Vi racconto una storia che ho vissuto quando ero assistente medico», risponde Ngassop.

«Avevo in cura un paziente con dolori alla schiena. Un giorno era in ritardo per l'appuntamento. Lo stavo aspettando guardando fuori dalla finestra: l'ho visto saltare fuori dall'autobus e poi entrare di corsa nell'edificio. Quando si è presentato nel mio ufficio era piegato in due. Piuttosto che pensare che stesse fingendo, dovremmo credere che probabilmente era stato frainteso e stava esagerando i suoi sintomi per essere ascoltato».

Cresce la sensibilizzazione al tema

La sensibilizzazione riguardo al tema sta comunque crescendo. «Ho sentito parlare della sindrome mediterranea qualche anno fa, durante la formazione pratica: questi temi non sono stati affrontati durante i miei studi», ricorda lo specialista. «Invece oggi molte università hanno introdotto moduli di insegnamento sui pregiudizi razziali in medicina».

E i pazienti, cosa possono fare? «Devono sapere che esiste questo pregiudizio, in modo da poter reagire se pensano di esserne vittima,» risponde il medico. «La maggior parte degli ospedali dispone di team di mediatori pronti ad ascoltare: consiglio di contattarli».