Il corpo senza vita del bambino rimasto prigioniero per 100 ore in un pozzo è stato estratto sabato sera dai soccorritori.
05.02.2022, 22:25
05.02.2022, 22:51
SDA
Rayan, il ragazzino di cinque anni estratto dopo 100 ore dal pozzo in cui era precipitato in Marocco, è morto.
Lo annuncia in un comunicato il gabinetto della Casa Reale del Marocco: «Il bambino è morto a causa delle ferite riportate durante la caduta», si legge nel comunicato citato dai media arabi.
Il bimbo era rimasto intrappolato per 5 giorni a 32 metri di profondità e la notizia aveva suscitato preoccupazione nel mondo intero che seguiva in diretta la disperata corsa contro il tempo per salvarlo.
Il recupero è risultato complesso poiché l’apertura per raggiungere il piccolo era particolarmente stretta e difficile da penetrare. Si è resa necessaria la realizzazione di un tunnel orizzontale di tre metri. Sabato sera poi i soccorritori sono finalmente riusciti a estrarre il piccolo.
«Rayan è vivo, lo tireremo fuori oggi», aveva annunciato il responsabile dei soccorsi nel tardo pomeriggio di sabato.
E era tutto pronto: l'equipe medica all'imboccatura del tunnel di collegamento, l'ambulanza che lo doveva portate all'elicottero con cui trasferirlo in ospedale. Ma le ore sono passate. Una dietro l'altra con centinaia e centinaia di persone che si erano messe a pregare.
Un'immensa operazione di salvataggio
Un'immensa operazione di salvataggio ha scandito, tra le mille difficoltà, gli intoppi, i rischi di smottamento, le speranze ma anche le delusione, queste lunghissime giornate in cui i soccorritori non si sono mai dati per persi.
A cominciare da Ali El Jajaoui, arrivato da Erfoud, ormai divenuto l'eroe del deserto: quell'uomo che di professione fa lo specialista di pozzi, appena appresa la notizia del bimbo, è subito partito dal sud del Paese per raggiungere il villaggio di Rayan.
E ha scavato per ore e ore senza fermarsi, a mani nude dopo che un'imponente lavoro di 5 escavatori aveva aperto una voragine che ha permesso di arrivare alla profondità in cui si trovava il bambino. E permesso di realizzare una via di fuga attraverso la posa di tubi che, posizionati orizzontalmente, hanno creato il passaggio che si sperava potesse portare la salvezza.
«Gli ho parlato, respira a fatica»
Già ieri sera le operazioni sembravano vicine a recuperare il bimbo. Rayan aveva retto abbastanza bene in questi lunghi giorni in cui i soccorritori hanno calato nel pozzo un tubo per fornirgli l'ossigeno.
Aveva chiesto dell'acqua, aveva mangiato qualcosa e ascoltato via radio le parole del padre, Khaled, che poi aveva raccontato: «Gli ho parlato, respira a fatica» mentre le telecamere che lo avevano raggiunto lo riprendevano fare qualche piccolo movimento e chiamare «mamma».
Al ritmo di 20 centimetri l'ora
Nel primo pomeriggio di sabato tutto è pronto, o così almeno sembra quando i soccorritori entrano nel tunnel. Uno alla volta, sistemano corde e giubbotti di protezione e persino una piccola barella.
La folla di spettatori prega ed esulta. Al grido di Allah Akbar i fedeli si raccolgono attorno al pozzo. C'è persino l'equipe medica di pronto intervento, l'ambulanza e un anestesista.
I genitori di Rayan vengono portati sull'ambulanza, forse, per un primo incontro con lo psicologo. Poi però i tempi si dilatano. Si devono ancora fare i conti con quella maledetta roccia.
Le distanze si accorciano, ma alle 17.30 ci sono ancora 80 centimetri di masso da sgretolare. Un lavoro di cesello quasi, al ritmo di 20 centimetri l'ora.
S'è persa la corsa contro il tempo
Una corsa ad ostacoli e contro il tempo per salvare il piccolo Rayan, da troppe ore ormai in fondo a quel pozzo che da giorni ha riportato alla memoria quel giugno del 1981 e la tragedia del piccolo Alfredino Rampi.
Il copione s'è ripetuto, con i volontari che tentavano di calare nel pozzo come fece Angelo Licheri a Vermicino. E s'è ripetuto il tragico finale: Rayan non ce l'ha fatta. I soccorsi hanno perso la corsa contro il tempo.