Cinema Al Locarno Film Festival il regista Samir ricorda quando gli stranieri erano gli italiani

SDA

13.8.2024 - 18:42

Il regista Samir, abbreviazione di Samir Jamal Aldin, è nato a Baghdad nel 1955 da madre svizzera e padre iracheno ed è arrivato in Svizzera con la famiglia all'inizio degli Anni '60.  (foto d'archivio)
Il regista Samir, abbreviazione di Samir Jamal Aldin, è nato a Baghdad nel 1955 da madre svizzera e padre iracheno ed è arrivato in Svizzera con la famiglia all'inizio degli Anni '60. (foto d'archivio)
Keystone

Cabine telefoniche e stazioni ferroviarie dove a volte si dormiva, perché era difficilissimo trovare, soprattutto appena arrivati, un alloggio. Baracche usate come case collettive in condizioni igieniche precarie.

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Locali dov'era proibito l'accesso agli italiani o «trovavi scritto a destra gli svizzeri, a sinistra gli stranieri e i cani» ricorda l'80enne Giuseppe.

«Apartheid silenziosa»

Una sorta di «apartheid silenziosa» rievocata con testimonianze, scene di film e servizi giornalistici, interviste, immagini d'archivio, sulla vita degli immigrati (soprattutto italiani) arrivati in Svizzera negli anni '60 raccolte da «La prodigiosa trasformazione della classe operaia in stranieri» del regista iracheno/svizzero Samir, che debutta fuori concorso al Locarno Film Festival.

«Il lavoro di ricerca è durato tre anni – spiega il cineasta -. La mia squadra di collaboratori è giovane e molti di loro non sapevano nulla di quanto accaduto. Mi ha sorpreso quanto queste storie siano state dimenticate. Il motivo principale credo sia legato al fatto che molti immigrati italiani non vogliono più parlare di quanto vissuto, preferiscano lasciarlo nel passato».

I figli degli stagionali negli armadi

Una sfera sociale, quella del film non fiction (producono Dschoint Ventschr Filmproduktion e Casa delle Visioni con la radiotelevisione svizzero tedesca SRF) unita a quella personale che coinvolge lo stesso cineasta (le sue parti biografiche sono rese in animazione) nato a Baghdad e arrivato in Svizzera con la famiglia negli anni '60. Un percorso che l'ha reso prima testimone e vittima di episodi di razzismo e poi compagno di lotta nelle battaglie sociali quotidiane degli immigrati.

Un mondo, quello del documentario, che passa, tornando a 60 anni fa, per i figli dei migranti «stagionali» che si dovevano nascondere in casa senza poter uscire o affacciarsi alla finestra (i cosiddetti bambini armadio) perché a lungo sono rimasti vietati i ricongiungimenti famigliari.

L'iniziativa Schwarzenbach

Un razzismo sociale che apparteneva a molti politici, con tanto di iniziativa del 1970 (l'iniziativa Schwarzenbach «contro l'inforestierimento» bocciata di misura) che chiedeva di limitare gli stranieri al 10% della popolazione (avrebbe portato l'espulsione di oltre 300 mila immigrati). Un decennio però in cui arriva anche un vento di cambiamento, con i migranti in grado di unirsi e organizzarsi a livello sociale e sindacale.

La svolta arriva negli anni '80 nei quali l'italianità tra vestiti e cibo diventa sempre più di moda fino a conquistarsi ampio spazio nello stile di vita degli svizzeri. Approdando infine all'oggi in cui verso i migranti di altri Paesi si ripetono molti degli stessi errori e delle stesse prevaricazioni (anche in Italia, come si ricorda con una parte dedicata alla rivolta dei braccianti a Rosarno).

La speranza nelle nuove generazioni

«È uno dei punti al centro del film, a livello globale è come se non avessimo imparato la lezione, continuiamo a escludere – sottolinea Samir -. Oggi la Svizzera è un Paese profondamente cambiato, è uno dei luoghi dove convivono in armonia più culture, ma ad esempio ci sono leggi che limitano fortemente la possibilità di essere naturalizzati».

La speranza per il cineasta «è nelle nuove generazioni che sono molto attive sui temi sociali, lo vedo anche in mia figlia». Intanto mentre parla, al regista si avvicina proprio una signora svizzera figlia di migranti italiani, che lo ringrazia per il film: «Ho rivisto molto di quello che hanno vissuto i miei genitori...».