Di questi 23 sono già in sperimentazione sull'uomo, secondo l'ultimo aggiornamento dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms).
Ne esistono di tutti i tipi: a Rna, Dna, con vettori virali, oppure virus inattivati, vivi ma attenuati, o semplici subunità proteiche del virus. «È irreale pensare di avere un vaccino già a settembre: è più probabile che arrivi tra la prima o la seconda metà del 2021», afferma Gianluca Sbardella, professore di chimica farmaceutica all'Università di Salerno.
«Se tutti si vaccinassero con un prodotto davvero efficace, potremmo far sparire il Covid-19, ma non è detto che questo prodotto si ottenga, tanto meno in tempi così brevi. Per questo - sottolinea Sbardella - bisogna valutare strade alternative».
Attenzione sugli anticorpi monoclonali e i farmaci specifici
L'attenzione in questi mesi si è focalizzata sugli anticorpi monoclonali e lo sviluppo di farmaci specifici per il nuovo coronavirus, grazie all'intelligenza artificiale e ai potenti calcolatori che stanno facilitando lo screening virtuale dei composti.
La strada più rapida, però, resta quella del riposizionamento di farmaci già esistenti, come il remdesivir. «L'azienda produttrice ha annunciato una riduzione del 62% del rischio di mortalità», spiega Maria Gabriella Santoro, virologa dell'Università di Roma Tor Vergata.
«Non dobbiamo però dimenticare che la produzione è costosa e richiede tempo, e che il farmaco, oltre a dare effetti collaterali, può anche indurre resistenza. Per questo - aggiunge l'esperta - penso che la strategia vincente sia quella di usarlo in combinazione con altri farmaci, all'interno di cocktail come facciamo già per il virus Hiv».
Un parallelismo che ritorna spesso
Un parallelismo che ritorna spesso, perché la corsa agli armamenti contro Covid-19 «ricorda proprio quella che c'è stata contro l'Aids, anche se con una velocità ancora più accelerata da Internet», commenta Cristina Mussini, professore di malattie infettive all'Università di Modena e Reggio Emilia.
In questi mesi si è assistito a una «crescita esplosiva di articoli scientifici, oltre cento al giorno, di cui solo un quarto conteneva dati sperimentali pubblicati per lo più senza revisione», ricorda Enrico Bucci della Temple University.
«Soprattutto nei primi mesi si è pubblicata molta spazzatura - rileva Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell'Istituto Spallanzani di Roma - e siamo stati pronti ad adottare decisioni anche quando non c'erano evidenze disponibili».