USA - CinaBiden gela Xi: «Fatti progressi, ma resta un dittatore»
SDA
16.11.2023 - 19:13
Il presidente statunitense Joe Biden gela il suo omologo cinese Xi Jinping, definendolo nuovamente un «dittatore».
16.11.2023, 19:13
SDA
Lo fa nella sua conferenza stampa dopo il vertice tra i due leader, lungamente e meticolosamente preparato per avviare il disgelo tra le superpotenze, conclusosi con «grandi progressi» come il ripristino della hotline tra i presidenti e tra i militari e l'impegno sul clima e contro il traffico di fentanyl, l'oppiaceo in prevalenza sintetizzato in Cina all'origine di un grave fenomeno sociale negli Stati Uniti.
Un attacco – o una gaffe secondo altri – alla vigilia di un altro summit importante, quello della Cooperazione economica Asia-Pacifico (Apec), dove la rivalità tra Stati Uniti e Cina è riemersa nello scenario Indo-Pacifico.
«Si riferirebbe a Xi come a un dittatore?» - «Guardi, lo è»
«Si riferirebbe ancora al presidente Xi come a un dittatore?», ha chiesto una giornalista, memore di quando Biden lo aveva bollato così in una raccolta fondi elettorale a giugno. «Guardi, lo è», ha replicato l'inquilino della Casa Bianca senza esitazioni.
Poi ha cercato subito di smorzare: «È un dittatore nel senso che è una persona che governa un Paese comunista basato su una forma di esecutivo totalmente diversa dalla nostra». Ma ormai la frittata era fatta, dopo la stretta di mano, i sorrisi e la passeggiata che avevano suggellato quattro ore di summit alle porte di San Francisco (California).
Lo conferma la smorfia tra l'imbarazzato e il trasalito del segretario di stato, Antony Blinken, seduto in prima fila nel corso della conferenza stampa.
«La Cina si oppone fermamente»
E lo conferma l'adirata reazione di Pechino, che ha censurato il commento di Biden sui media stranieri: «Questo tipo di discorso è estremamente sbagliato e costituisce una manipolazione politica irresponsabile. La Cina si oppone fermamente», ha tuonato il portavoce del ministero degli esteri cinese Mao Ning.
«Devo sottolineare che ci sono sempre persone con secondi fini che cercano di seminare discordia e distruggere le relazioni Cina-Stati Uniti, ma questo non avrà successo», ha aggiunto, senza fare nomi.
Il disgelo per ora sembra dunque tenere, nonostante i vari nodi irrisolti e la tensione su Taiwan. Anche perché Pechino sa benissimo che Biden è in campagna elettorale e non può permettersi di apparire debole sulla Cina, contro la quale c'è una ostilità da parte sia dei democratici sia dei repubblicani.
La Casa Bianca getta acqua sul fuoco
La Casa Bianca getta acqua sul fuoco e afferma di non temere ripercussioni: «Nessuna preoccupazione. Ieri abbiamo avuto delle ottime discussioni, su molti argomenti», ha assicurato il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale statunitense John Kirby in un'intervista all'emittente televisiva statunitense ABC News.
Lo stesso Xi ha lanciato segnali rassicuranti alla cena col gotha dell'economia statunitense, dove ha rilanciato anche la diplomazia dei panda: «Credo che una volta aperta la porta alle relazioni bilaterali, non verrà più chiusa», ha detto. «La Cina non cerca sfere di influenza e non intraprenderà né una guerra calda né una guerra fredda contro nessun Paese», ha assicurato tra le ovazioni.
Resta il muro contro muro su Taiwan
Ma resta il muro contro muro su Taiwan, il dossier forse più spinoso. Con Biden che ribadisce la politica americana che riconosce una sola Cina, ma chiede a Xi di non interferire nelle elezioni dell'isola. E Xi che lo esorta a non armare Taipei e a sostenere una riunificazione pacifica della Cina, senza escludere l'uso della forza per attuare un processo «inarrestabile».
Resta inoltre la feroce concorrenza economica e tecnologica, con il leader cinese contro le sanzioni unilaterali americane che «danneggiano gli interessi legittimi di Pechino».
E quella geostrategica, come dimostra il vertice dell'Apec ospitato a San Francisco, dove Biden ha cercato di convincere i direttori d'azienda e i leader dei 21 paesi membri del rinnovato ruolo leader degli Stati Uniti nella regione.
Il presidente ha dribblato l'ostilità degli elettori verso nuovi accordi commerciali, puntando su «framework», intese quadro «esecutive» che non devono passare per il Congresso.
Sono attesi annunci con tredici paesi (Australia, Brunei, Fiji, India, Indonesia, Giappone, Corea del sud, Malesia, Nuova Zelanda, Filippine, Singapore, Thailandia e Vietnam, che rappresentano il 40% del prodotto interno lordo mondiale) su quattro direttrici: catene di fornitura, clima, commercio e lotta alla corruzione.