Medio OrienteBlinken incalza Netanyahu: «Troppi morti civili a Gaza»
SDA
9.1.2024 - 21:46
Israele deve evitare ulteriori danni ai civili nella guerra che sta conducendo contro Hamas a Gaza e che ha già provocato troppi morti, oltre 23mila finora. Nella sua quarta missione a Tel Aviv dal 7 ottobre, il segretario di Stato Usa Antony Blinken è tornato ad incalzare il premier Benyamin Netanyahu pur ribadendo il pieno sostegno a Israele per impedire in futuro un nuovo attacco terroristico dei miliziani palestinesi.
Keystone-SDA
09.01.2024, 21:46
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Sebbene per gli Usa l'accusa di genocidio mossa contro lo Stato ebraico all'Aja sia «infondata», il bilancio delle vittime nella Striscia, in particolare di civili e bambini, «è troppo alto», ha avvertito l'inviato di Joe Biden.
Che, partecipando a una riunione del gabinetto di guerra israeliano, ha ottenuto che una delegazione dell'Onu visiti il nord di Gaza per rendersi conto della situazione sul terreno, in particolare umanitaria, e per svolgere «una valutazione» in vista del rientro degli sfollati alle loro case.
Per Blinken, «la guerra a Gaza potrebbe finire domani se Hamas prendesse le decisioni giuste» ma, ha insistito, per «una pace duratura» serve la nascita di uno Stato palestinese, così come chiedono molti Paesi della regione visitati dal capo della diplomazia americana prima della tappa a Tel Aviv.
«Il punto di vista espresso da questi Paesi – ha spiegato – è fondamentale per porre fine una volta per tutte a un ciclo di violenza attraverso la realizzazione dei diritti politici palestinesi».
Nessun piano per trasferire la popolazione di Gaza in Africa
In omaggio alle preoccupazioni Usa per le attività dei coloni, Israele ha fatto coincidere l'arrivo di Blinken con lo sgombero a sorpresa di un insediamento ebraico presso Betlemme, in Cisgiordania, e la demolizione di abitazioni in alcuni avamposti eretti nelle vicinanze della colonia Pney Kedem, mentre il ministero degli Esteri ha negato che ci sia un piano per trasferire la popolazione di Gaza in Africa: «Non siamo impegnati nell'esame della fattibilità» di questo dossier, ha assicurato il portavoce.
Il ministro della destra radicale Itamar Ben Gvir – tra i sostenitori dell'uscita dei palestinesi dalla Striscia e del ritorno dei coloni – ha però avvertito il segretario di Stato che «non è tempo di parlare dolcemente con Hamas» ma «di usare un grosso bastone».
Dal canto suo, il titolare della Difesa Yoav Gallant – che il giorno prima aveva annunciato la «fase 3» della guerra con raid mirati – ha chiarito a Blinken che le operazioni a Khan Yunis, nel sud di Gaza, «si intensificheranno e continueranno fino a quando i capi di Hamas saranno raggiunti e gli ostaggi recuperati». Mentre sull'oramai conclamata guerra con Hezbollah al nord, Gallant ha sottolineato che «un aumento della pressione sull'Iran è fondamentale e potrebbe impedire un'escalation regionale in ulteriori aree».
Ucciso il capo delle forze aeree di Hezbollah
Proprio sul fronte libanese, il giorno dopo l'uccisione dell'alto comandante di Hezbollah Wissam al-Tawil, martedì è toccato ad Ali Hussein Barji, capo delle forze aeree dei miliziani sciiti filo-iraniani nel sud del Paese.
Responsabile di decine di attacchi con i droni contro Israele negli ultimi mesi, compreso il raid di oggi al quartier generale del Comando Nord dell'Idf a Safed, Barji è stato ucciso da un missile mentre si trovava a bordo di in un'auto nella città di Khirbet Selm, proprio poco prima del funerale di al-Tawil. Israele, ha avvertito sempre Gallant riferendosi allo scontro con Hezbollah, preferisce «la via diplomatica, ma sta preparando anche alternative militari».
Scontro duro tra Israele e ONU
Intanto si fa sempre più duro lo scontro tra lo Stato ebraico e l'Onu. «Un'organizzazione che non prende posizione quando un bambino di un anno è preso in ostaggio è complice dei terroristi e non ha ragione di esistere», ha accusato l'ambasciatore Gilad Erdan, ricordando nella seduta al Palazzo di Vetro Kfir Bibas che ha compiuto un anno in prigionia a Gaza. L'Onu, ha aggiunto, «continua a concentrarsi sul cessate il fuoco a Gaza, sugli aiuti e non sugli ostaggi».
I capi di Hamas, tra cui Ismail Haniyeh, hanno invece invitato i Paesi musulmani a sostenerli fornendo «armi». «Il ruolo della nazione musulmana è importante» e, ha proseguito il leader della fazione dal Qatar, «è giunto il momento di sostenere la resistenza con le armi, perché questa è la battaglia di Al-Aqsa e non solo la battaglia del popolo palestinese».