"Assicurare che il Regno Unito esca dall'Ue con un deal" è l'unica garanzia per evitare un no deal.
Lo ha ribadito la premier Tory, Theresa May, nel Question Time di oggi ai Comuni respingendo ancora una volta la richiesta del leader dell'opposizione Jeremy Corbyn di togliere dal tavolo come premessa ogni ipotesi di divorzio senz'accordo.
May ha poi contestato "le precondizioni" di Corbyn, il quale le ha rinfacciato a sua volta di non mostrare "alcuna flessibilità".
Il leader del Labour ha contestato alla premier di non voler davvero dialogare e di fatto "perdere tempo" per lasciare il Paese di fronte all'alternativa fra un il suo accordo ormai morto e un no deal che "sarebbe catastrofico per il Paese". Un no deal, ha polemizzato Corbyn, che anche ministri dell'ala moderata del governo Tory come Philip Hammond e Amber Rudd chiedono di escludere a priori dal tavolo.
Theresa May Brasier è nata a Eastbourne, nel Regno Unito, il 1 ottobre 1956. Dal mese di luglio del 2016 è leader del partito conservatore inglese e primo ministro. Ha preso il posto di David Cameron, anch’egli conservatore, al 10 di Downing Street.Theresa May Brasier è nata a Eastbourne, nel Regno Unito, il 1 ottobre 1956. Dal mese di luglio del 2016 è leader del partito conservatore inglese e primo ministro. Ha preso il posto di David Cameron, anch’egli conservatore, al 10 di Downing Street.
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La sua ascesa politica legata di fatto al referendum che si è tenuto sul territorio britannico il 23 giugno 2016, con il quale i cittadini hanno chiesto di uscire dall’Unione europea. È proprio in seguito al voto, infatti, che Cameron si è dimesso, aprendo le porte dell’esecutivo a Theresa May.
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La leader della destra inglese, seguendo le indicazioni dell’elettorato, ha dunque preso le redini del governo avviando il processo di uscita dall’Ue, la cosiddetta Brexit. Un negoziato che però non appare semplice, sia per ragioni economiche, sia per il nodo rappresentato dalla frontiera in Irlanda del Nord.
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In questa immagine il primo ministro inglese tiene un discorso sulla questione dello sviluppo edilizio a Londra, il 5 marzo 2018.
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La formazione di Theresa May è da geografa. In passato, a cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, la conservatrice ha lavorato presso Bank of England, la banca centrale inglese. Quindi è stata assunta per più di un decennio negli organismi britannici che si occupano di fisco.
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L’ingresso in politica arriva negli anni Novanta: nel 1997, dopo due tentativi non andati a buon fine, viene eletta per la prima alla Camera dei Comuni. È stata membro di diversi “governi ombra” (organizzati dall’opposizione per contrastare le politiche dell’esecutivo ufficiale) e presidente del partito conservatore dal 2002 al 2003.
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Nel governo Cameron è stata segretaria di Stato agli Affari interni (tra il 2010 e il 2016) e ministro delle Donne e delle Pari opportunità (tra il 2010 e il 2012).
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In questa foto è ritratta all’esterno del Parlamento di Londra, il 22 marzo 2018, in occasione di una cerimonia di commemorazione delle vittime dell’attacco terroristico avvenuto nella stessa giornata dell’anno precedente. Un cittadino britannico, Khalid Masood, ha investito con un veicolo dei pedoni sul Westminster Bridge, uccidendo cinque persone e ferendone almeno 45.
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Sempre il 22 marzo, Theresa May si è recata a Bruxelles per partecipare al Consiglio europeo, focalizzato – tra le altre cose - su temi economici e sulle questioni legate alla Brexit.
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In occasione della riunione in Belgio, sono state approvate delle linee guida che saranno utilizzate nel corso dei negoziati, con l’obiettivo di stabilire le nuove relazioni tra il Regno Unito e il resto dell’Europa. Per Theresa May ciò rappresenta uno dei primi passi di un cammino che si preannuncia lungo.
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May, rispondendo più avanti a sollecitazioni di deputati conservatori brexiteers, si è peraltro limitata a ribadire di voler garantire l'attuazione della Brexit, per "far uscire la Gran Bretagna dall'Ue con un accordo", senza accennare neppure a ipotesi di rinvio. E ripetendo il suo no a un referendum bis.
In polemica con gli indipendentisti scozzesi dell'Snp, pure allarmati da un possibile divorzio no deal da Bruxelles, la premier li ha accusati di voler poi strumentalizzare il dossier per far campagna per un nuovo referendum sulla secessione della Scozia dal Regno. Un referendum che il governo intende impedire, ha detto, considerando definitivo il risultato del 2014.
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