Anche la ricerca scientifica è sotto tiro in Congo, dove a causa della guerra e dei conflitti interni, i ricercatori, sono stati costretti a cambiare le strategie per vaccinare e a modificare i protocolli di studi clinici volti a testare farmaci contro l'Ebola.
Mentre, a un anno dall'inizio dell'epidemia definita emergenza internazionale dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), sono 2'600 i casi registrati e oltre 1'700 morti.
I ricercatori, riporta un articolo pubblicato online sulla rivista scientifica Nature, «sono stati costretti ad adattarsi a una zona in cui omicidi, rapimenti e incendi dolosi sono all'ordine del giorno». E «la violenza ha ostacolato gli sforzi per somministrare un vaccino, sperimentale ma efficace».
Diffuse credenze popolari portano infatti ad «accusare chi si vaccina di essere portatore del virus, che viene pertanto perseguitato». Gli operatori quindi «sono stati costretti a modificare la strategia vaccinale. Mentre inizialmente le persone che potevano essere entrate in contatto con i malati venivano vaccinate vicino la propria abitazione», ora viene data loro «la possibilità di essere vaccinati nelle città vicine, lontano da occhi indiscreti», riporta l'articolo firmato da Amy Maxmen.
Anche l'utilizzo di anticorpi monoclonali introdotti a uso compassionevole deve fare i conti con le difficoltà di un'area di guerra. Per testare quale dei farmaci sperimentali fosse più efficace, è partito uno studio clinico randomizzato. Ma i ricercatori hanno dovuto ridisegnare il protocollo iniziale, «prevedendo la possibilità di interromperlo e riavviarlo secondo necessità. Una flessibilità – conclude l'articolo su Nature – che si sta rivelando cruciale».
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