Medio Oriente Gaza: raid e morti a Rafah, ma crescono le speranze di tregua

SDA

29.4.2024 - 20:27

Ad Hamas è stata offerta «una proposta straordinariamente generosa» che dovrebbe cogliere in fretta prendendo «la decisione giusta».

Palestinesi camminano tra case distrutte nel nord del campo profughi di Al Nusairat, nel sud della Striscia di Gaza, 29 aprile 2024.
Palestinesi camminano tra case distrutte nel nord del campo profughi di Al Nusairat, nel sud della Striscia di Gaza, 29 aprile 2024.
KEYSTONE

29.4.2024 - 20:27

L'Occidente, con Usa e Gran Bretagna in testa, e diversi Stati arabi premono sulla fazione islamica perché accetti le richieste di Israele per poter raggiungere un accordo per lo scambio di prigionieri.

L'intesa dovrebbe prevedere 40 giorni di tregua, il rilascio di «potenzialmente migliaia» di detenuti palestinesi dalle carceri israeliane e il ritorno degli sfollati al nord di Gaza, in cambio della liberazione di almeno 33 ostaggi israeliani (le donne, i feriti e gli anziani ancora nelle mani della fazione islamica).

Un bombardamento notturno

Un cessate il fuoco temporaneo comporterebbe il rinvio della temuta operazione di terra delle forze armate israeliane a Rafah, nel sud della Striscia, dove lo Stato ebraico ritiene siano nascosti gli ostaggi e gli ultimi leader dell'organizzazione terroristica.

E che intanto continua a colpire con raid aerei: le autorità sanitarie di Hamas hanno denunciato la morte di almeno 26 persone – tra cui un neonato di appena cinque giorni – in un bombardamento notturno sulla città.

Si gioca tutto in Arabia Saudita?

Una delegazione di Hamas è al Cairo, dove «sta ancora studiando» la proposta mediata da Egitto e Qatar: le autorità egiziane hanno invitato nella capitale anche funzionari israeliani nel caso la fazione islamica avesse delle obiezioni da sollevare, anche se domenica sera aveva già fatto sapere di non vedere «problemi significativi» nella bozza di accordo.

Ma è a Riad (Arabia Saudita) che i contatti tra le cancellerie sono più frenetici: a margine dell'incontro speciale del Forum economico mondiale (WEF) si moltiplicano gli incontri bilaterali tra i vari ministri degli esteri, da quello statunitense Antony Blinken a quello britannico David Cameron, da quello egiziano Sameh Shoukry – che si è detto «fiducioso» sull'intesa – a quello italiano Antonio Tajani.

«Nelle ultime ore – ha riferito quest'ultimo prima di incontrare Blinken – molti segnali indicano che il negoziato indiretto fra Israele ed Hamas potrebbe essere a un punto di svolta».

«Molto vicini a un'intesa»

«Hamas ha davanti a sé una proposta straordinariamente generosa da parte di Israele. E in questo momento l'unica cosa che si frappone tra il popolo di Gaza e un cessate il fuoco è Hamas. Devono decidere in fretta. Spero che prendano la decisione giusta», ha incalzato Blinken che a Riad ha parlato con il ministro degli esteri del Regno, Faisal bin Farhan al Saud, anche del futuro politico di Gaza dopo la fine del conflitto.

«Siamo molto molto vicini» a un'intesa in tal senso, ha annunciato il saudita, mentre l'alto rappresentante dell'Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell ha annunciato che diversi stati dell'Unione sono intenzionati – sulla spinta di una mobilitazione avviata da Spagna e Irlanda – a riconoscere «entro maggio» lo Stato palestinese.

Favorevole alla soluzione a due Stati, Cameron ha però messo in guardia che questa non sarà realizzabile finché la leadership di Hamas non avrà «lasciato Gaza».

Patto di sicurezza concluso tra USA e Arabia Saudita?

Sembra invece quasi concluso anche il patto di sicurezza tra Usa e Arabia Saudita, che comprende la normalizzazione delle relazioni con Israele, dossier congelato dopo l'attacco del 7 ottobre e la reazione israeliana a Gaza.

Il segretario di Stato degli Usa – che dopo l'Arabia Saudita si recherà anche in Israele e Giordania – ha intanto riconosciuto «progressi misurabili» nella situazione umanitaria a Gaza nelle ultime settimane, ma ha esortato lo Stato ebraico a fare di più.

Inoltre, ha puntualizzato, gli Stati Uniti «non hanno ancora visto un piano che ci permetta di credere che i civili possano essere efficacemente protetti» dall'irruzione a Rafah, come più volte chiesto da Washington e ribadito domenica nell'ultima telefonata tra il presidente Joe Biden e il premier israeliano Benyamin Netanyahu.

Il G7 ha «parlato» con la Corte dell'Aja?

Al momento la palla è comunque nel campo di Hamas, anche se sui colloqui aleggia il timore che un eventuale mandato di arresto della Corte penale internazionale contro Netanyahu e i vertici della difesa israeliana possa ostacolare l'accordo, mandando all'aria la possibilità di una tregua.

Secondo l'agenzia di stampa statunitense Bloomberg, i paesi del Gruppo dei sette (G7, Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti) avrebbero avviato uno sforzo diplomatico per far arrivare il messaggio all'Aja.

Washington ha invece accusato cinque unità dell'esercito israeliano di aver commesso «macroscopiche violazioni dei diritti umani» in Cisgiordania, ben prima dello scorso 7 ottobre: quattro unità hanno già preso delle misure, evitando così le sanzioni americane, ma continuano le consultazioni sulla quinta.

SDA