Vertice a Londra Il G7 unito contro Russia e Cina: «Cambino rotta subito»

SDA

5.5.2021 - 21:11

I ministri degli Esteri che hanno preso parte al G7 di Londra.
I ministri degli Esteri che hanno preso parte al G7 di Londra.
Keystone

Missione compiuta sul ricompattamento dei G7 e dei loro alleati contro «le minacce» al «fronte delle democrazie» nella prima riunione in presenza dei ministri degli Esteri dopo oltre un anno d'incontri virtuali imposti dalla pandemia.

Il summit è stato svolto all'ombra della nuova strategia dell'amministrazione statunitense di Joe Biden all'insegna dello slogan «diplomazia e dissuasione»: specialmente, con toni durissimi, nei confronti di Cina e Russia.

Una riunione svoltasi a Londra sotto presidenza britannica in un clima ispirato «alla sintonia su tutti i dossier» più importanti dopo le fibrillazioni dell'era di Donald Trump, secondo fonti diplomatiche.

E chiusa da impegni non solo rituali nel tradizionale comunicato finale congiunto: con tanto di moniti a Mosca e Pechino su «disinformazione» e diritti umani, in un quadro in cui la pur proclamata volontà parallela di evitare escalation e di mantenere aperta la porta della diplomazia appare condizionata a cambiamenti di rotta non marginali delle controparti.

Prospettiva d'una ripresa definitiva

Sullo sfondo non è mancata una macchia sulla prospettiva d'una ripresa definitiva di quella diplomazia faccia a faccia che nessun contatto video può sostituire: a causa del contagio da Covid di due membri della delegazione indiana – invitata come ospite dal governo di Boris Johnson assieme a quelle di Australia, Corea del Sud, Sudafrica e del Brunei (presidente di turno dell'Asean), a testimonianza dell'attenzione verso la regione pacifica in forma di contenimento della Cina – che ha suscitato inevitabili momenti di allarme nell'organizzazione.

Inducendo a isolare immediatamente l'intero team di New Delhi, dove imperversa l'ultima micidiale variante del coronavirus, e a lasciare separato dai colleghi, in solitario collegamento Zoom, il ministro Subrahmanyam Jaishankar.

Ma si è trattato tutto sommato di un intoppo minore, che non ha impedito al capo del Foreign Office, Dominic Raab, di condurre in porto da anfitrione la due giorni di contatti collettivi e bilaterali all'insegna di un allineamento pressoché totale con l'amministrazione Biden e il neo segretario di Stato, Antony Blinken. E con la ciliegina sulla torta dell'intesa col rappresentante della politica estera di Bruxelles, Josep Borrell, per la ricucitura post Brexit sulla concessione dello status diplomatico pieno all'ambasciatore Ue a Londra.

Né ha impedito a Johnson in persona di fare la sua comparsata alla Lancaster House, sede di un summit destinato a preparare quello dei leader in calendario a giugno in Cornovaglia, per vedere a quattr'occhi, oltre a Blinken, altri ministri: incluso il titolare della Farnesina Luigi Di Maio, che si è esibito in un sorridente saluto con mascherine al volto e gomiti incrociati con BoJo, non senza dargli appuntamento per il G20 a presidenza italiana «tra pochi mesi».

Preoccupazione per ciò che succede in alcuni paesi

Segni di un'atmosfera solidale, in seno al forum dei Paesi più industrializzati che si ergono a paladini delle «società aperte», che tuttavia non cancella gli elementi di forte preoccupazione, di denuncia e di determinazione nei riguardi di chi sta in qualche modo sull'altra faccia della luna.

Di Paesi come l'Iran o la Corea del Nord, verso i quali si ribadisce la volontà di riannodare i fili della diplomazia sui dossier nucleari, ma a condizioni puntuali e con la condanna ferma di quelle che vengono interpretate come provocazioni. E soprattutto dei due giganti del fronte orientale: la Russia di Vladimir Putin e la Cina di Xi Jinping.

Alla prima vengono imputati comportamenti «irresponsabili e destabilizzanti» a tutto campo, dall'Ucraina alla Bielorussia, dalle accuse su «disinformazione e cyber-attacchi», ai diritti umani o alla «repressione» di oppositori come Alexey Navalny; comportamenti per «scoraggiare» i quali si promette «un rafforzamento delle nostre capacità collettive».

Alla seconda gli «abusi» contro gli uiguri musulmani dello Xinjiang (con richiesta di verifiche indipendenti sul posto da parte dell'Onu), così come la stretta anti-democratica a Hong Kong, ma anche «gli arbitrii, le pratiche politiche ed economiche» che «minano un sistema economico libero ed equo» di free trade nel mondo ispirato a regole internazionali «trasparenti e prevedibili» contro cui si preannuncia il sostegno a meccanismi di «resistenza globali».

A entrambe si rinfaccia poi la propaganda (online e non) volta a «destabilizzare le democrazie», i processi elettorali, sino a far circolare fake news «sui vaccini» anti-Covid: un capo d'accusa dinanzi al quale viene formalizzata la preannunciata nascita d'una sorta di rete di contropropaganda e «risposta rapida» occidentale da realizzare in coordinamento con organizzazioni come la Nato.

Avvertimenti che non si traducono in realtà in una (inimmaginabile) rottura dei ponti, né nella rinuncia all'impegno a cooperare sia con Pechino sia con Mosca sui temi d'irriducibile interesse comune (dall'economia alla lotta ai cambiamenti climatici, dalla pandemia al disarmo). Come d'altronde conferma l'auspicio esplicito avanzato giusto ieri da Biden per un rendez-vous diretto a giugno con Putin: lo stesso uomo cui un paio di mesi fa aveva dato senza esitare del «killer».