Dopo essere scomparso in circostanze misteriose in Iran nel 2007, l'ex agente dell'FBI Robert Levinson, l'ostaggio americano più a lungo detenuto, sarebbe «morto mentre era in detenzione» secondo la sua famiglia. Theran non ha inveca «alcuna notizia» sulla sorte.
«Recentemente abbiamo ricevuto informazioni da dirigenti americani che hanno indotto sia loro che noi a concludere che il nostro meraviglioso marito e padre sia morto. Non sappiamo quando o come sia morto, ma solo che è successo prima della pandemia da coronavirus», hanno scritto i familiari in un comunicato.
Ma poco dopo il presidente Donald Trump è sembrato contraddire le rivelazioni provenienti da membri della sua amministrazione. «Le cose non sembravano andare bene, era malato, ma non accetto che sia morto», ha detto durante una conferenza stampa alla Casa Bianca sul coronavirus. «Non ci hanno detto che è morto, anche se un sacco di persone pensa che lo sia», ha aggiunto.
Per anni Teheran ha continuato a negare pubblicamente di essere a conoscenza del destino di Levinson, nonostante i media statali avessero riportato che era stato arrestato al momento della sua scomparsa, il 9 marzo 2007 nell'isola iraniana di Kish.
Gli Usa sostennero a lungo che l'uomo – un agente dell'FBI che si era distinto in operazioni contro la mafia italiana e russa – stava lavorando in quell'occasione per un'azienda privata. Ma nel 2013 l'Associated Press rivelò che in realtà era in missione per analisti della CIA. Cosa che l'agenzia di intelligence e altri dirigenti governativi non hanno mai ammesso, nonostante le conferme di familiari e amici.
La sua famiglia ha ricevuto 2,5 milioni di dollari l'anno dalla CIA per bloccare una causa che avrebbe rivelato i dettagli del suo lavoro, mentre tre analisti sono stati cacciati ed altri sono stati sottoposti a procedimenti disciplinari.
Nelle uniche immagini emerse dopo la scomparsa, risalenti al 2010 e 2011, Levinson – che oggi avrebbe 72 anni – indossa una tuta arancione simile a quella dei prigionieri nel carcere statunitense di Guantanamo e appare dimagrito, con la barba e i capelli lunghi. In un video, con una popolare canzone nuziale pashtun in sottofondo, l'uomo si lamenta delle sue cattive condizioni di salute. Soffriva di diabete, gotta e ipertensione.
Lo scorso novembre Teheran aveva riconosciuto di avere ancora un caso aperto presso la sua Corte Rivoluzionaria.
Oggi, però, Alireza Miryousefi, responsabile della comunicazione presso la missione della Repubblica islamica all'ONU, ha detto che l'Iran non ha mai avuto «alcuna notizia» sulla sorte dell'ex agente dell'FBI.
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