Guerra in Medio Oriente Israele prende tempo, l'Iran minaccia di attaccare i siti nucleari

SDA

18.4.2024 - 21:39

Il ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian è andato dritto al punto: «In caso di ulteriori attacchi da parte del regime israeliano, l'Iran non esiterebbe neanche un attimo ad una risposta che gli faccia rimpiangere le sue azioni».
Il ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian è andato dritto al punto: «In caso di ulteriori attacchi da parte del regime israeliano, l'Iran non esiterebbe neanche un attimo ad una risposta che gli faccia rimpiangere le sue azioni».
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L'Iran prende la mira e punta, per ora a parole, al cuore militare di Israele in un gioco al rialzo che rischia di precipitare il Medio Oriente in una spirale incontrollabile nonostante la pioggia di sanzioni da Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione europea che cerca di ridurre a più miti consigli il regime degli ayatollah.

«La posizione dei centri nucleari del nemico sionista è stata definita e abbiamo a nostra disposizione le informazioni necessarie su tutti gli obiettivi. In risposta a qualsiasi ipotetica azione che potrebbero intraprendere, saremo pronti a lanciare potenti missili per distruggere questi obiettivi».

L'avvertimento è arrivato dal generale Ahmad Haqtalab, comandante dell'unità di difesa e sicurezza nucleare dei pasdaran, assieme alla minaccia di «riconsiderare» la politica nucleare di Teheran se «Israele minaccerà gli impianti nucleari iraniani».

Più tardi, al Consiglio di Sicurezza Onu, il ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian è andato dritto al punto: «In caso di ulteriori attacchi da parte del regime israeliano, l'Iran non esiterebbe neanche un attimo ad una risposta che gli faccia rimpiangere le sue azioni».

Si attende il contrattacco israeliano

Bocce ferme per ora quindi, ma postazioni di tiro pronte, in attesa dell'annunciato contrattacco israeliano che, secondo fonti americane, non dovrebbe avvenire prima della fine della Pasqua ebraica, che inizia il 22 aprile e termina il 29. E sul quale si incrociano diplomazia sotterranea e appelli alla prudenza.

Dopo le indiscrezioni secondo le quali la Casa Bianca avrebbe dato al premier israeliano Benyamin Netanyahu il via libera a un'operazione a Rafah in cambio della rinuncia a colpire l'Iran come rappresaglia dell'attacco dello scorso fine settimana e le relative smentite, di certo è arrivato l'annuncio di nuove sanzioni contro Teheran.

Nel mirino ci sono i micidiali droni usati contro Israele e che l'Iran fornisce anche alla Russia per attaccare l'Ucraina. Più precisamente gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, in un'iniziativa congiunta, hanno identificato 16 individui e alcune aziende che ne consentono la produzione attraverso componenti e motori che alimentano le varianti Shahed.

All'esame, secondo il portavoce del consiglio per la Sicurezza nazionale americana John Kirby, ci sono pure opzioni per altre sanzioni.

«Colpire le compagnie che servono per i droni e per i missili»

Sulla produzione di droni si è concentrato anche il Consiglio europeo riunito a Bruxelles. «L'idea è di colpire le compagnie che servono per i droni e per i missili», ha detto il presidente Charles Michel mentre anche dal G7 dei ministri degli Esteri a Capri è arrivata una presa di posizione compatta.

«Siamo favorevoli alla possibilità di imporre sanzioni all'Iran per l'attacco a Israele», ha detto il ministro italiano degli Esteri Antonio Tajani, precisando che il G7 «invita tutti alla prudenza» e ribadendo che «siamo amici di Israele, lo sosteniamo ma vogliamo una de-escalation in quell'area».

Sempre da Capri, fonti britanniche hanno tenuto a precisare che la linea telefonica con Teheran «deve restare aperta, perché dobbiamo continuare a dialogare». Al G7 la Repubblica islamica, attraverso l'ambasciata di Londra, aveva mandato un messaggio chiedendo di non adottare «misure non costruttive».

Un cessate il fuoco e una soluzione a due Stati

In una sorta di calcolata equidistanza per riaffermare le sue doti di grande mediatore è intervenuto il presidente turco Recepp Tayyip Erdogan che da Ankara ha chiesto un cessate il fuoco durevole a Gaza e una soluzione a due Stati sottolineando che se «i Paesi occidentali possono reagire con una sola voce contro la ritorsione dell'Iran, gli stessi attori devono ora dire basta a Israele, con una sola voce».

A fargli da sponda il suo ministro degli Esteri Hakan Fidan che da Doha, dopo un incontro con il capo dell'ufficio politico di Hamas Ismail Hanyeh, ha ribadito la disponibilità dell'organizzazione a deporre le armi nel caso in cui venga riconosciuto uno Stato palestinese entro i confini del 1967.

Esattamente nel giorno in cui il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha votato una risoluzione proposta dall'Algeria a nome dei Paesi arabi per l'ammissione piena della Palestina.

Una conta importante tra i membri dell'organo più importante dell'Onu ma che si è scontrata con il veto degli Stati Uniti. Dal palazzo di Vetro, ancora una volta, il segretario generale Antonio Guterres ha avvertito sul rischio di un conflitto regionale e ha ribadito che l'offensiva israeliana a Gaza ha creato un «paesaggio infernale» nel quale, ha comunicato Hamas, sono state uccise finora 33.970 persone.

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