Boris Johnson ha promesso oggi nel primo intervento da premier di fronte alla Camera dei Comuni, «assoluta certezza sul diritto» dei 3,2 milioni di cittadini di Paesi Ue residenti nel Regno Unito di vivere e restare nel Paese dopo la Brexit con le tutele attuali.
L'impegno vale anche in caso di no deal, a prescindere dalla reciprocità per l'1,2 milioni di britannici che vivono nel continente, su cui peraltro il premier ha detto di confidare.
Su queste parole, ha ottenuto non solo il plauso del deputato Tory d'origine italiana Alberto Costa (sono circa 600.000 gli italiani nel Regno Unito), ma anche del leader laburista Jeremy Corbyn, il quale pure ha definito «una vergogna che ci siano voluti 3 anni» per dare la rassicurazione che il Labour aveva chiesto alla precedente premier Theresa May fin dall'inizio.
Scontro totale invece su tutto il resto: con Corbyn che ha parlato di un Paese che «non si fida di Johnson» e delle sue promesse, e il premier che ha risposto per le rime evocando un confronto fra «ottimisti e pessimisti».
Sulla questione dei cittadini stranieri trapiantati nel Regno, Johnson ha inoltre evocato – sollecitato dalla deputata laburista Rupa Huq – un'amnistia per circa 500.000 migranti illegali privi di documenti (non europei), ma ormai integrati.
Una posizione che l'attuale premier aveva sostenuto anche in passato, senza tuttavia riuscire a imporla come linea del Partito Conservatore sotto la vecchia leadership di Theresa May.
Nello stesso tempo Johnson è tornato a indicare per il dopo Brexit un cambiamento della politica dell'immigrazione, ispirato al modello australiano sulla gestione dei flussi e sul controllo delle frontiere.
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