UE Michel vola a Budapest per disinnescare la mina Orban

SDA

26.11.2023 - 18:10

A metà dicembre i leader dovranno decidere - tra le varie cose - se dare il via libera o meno ai negoziati di adesione con Kiev, Chisinau e Sarajevo. (Foto d'archivio)
A metà dicembre i leader dovranno decidere - tra le varie cose - se dare il via libera o meno ai negoziati di adesione con Kiev, Chisinau e Sarajevo. (Foto d'archivio)
Keystone

Orban scrive, Michel risponde. Il presidente del Consiglio Europeo domani si recherà in Ungheria per tentare una mediazione dopo che il premier magiaro, in una missiva, ha richiesto ai 27 un «dibattito strategico» sull'Ucraina.

A metà dicembre i leader dovranno decidere – tra le varie cose – se dare il via libera o meno ai negoziati di adesione con Kiev, Chisinau e Sarajevo (oltre che a concedere lo status di Paese candidato alla Georgia) in quella che, a Bruxelles, viene descritta come la tornata di allargamento più «geopolitica» di sempre.

Ma il focus, naturalmente, è sull'Ucraina, che ieri ha subito il più grande attacco di droni da parte di Mosca contro la capitale Kiev dal febbraio 2022 e che ha risposto con il lancio di droni contro le regioni russe di Bryansk, Smolensk e Tula, quadro dei quali sono stati abbattuti dalla difesa aerea di Mosca.

«Gli ultimi sviluppi riguardo la guerra in Ucraina oltre che la sicurezza globale e il contesto economico-politico richiedono un periodo di riflessione nonché una potenziale revisione dei nostri obiettivi e dei nostri strumenti», mette nero su bianco il premier ungherese.

«Il Consiglio Europeo – aggiunge – non è nella posizione di prendere decisioni chiave sulle proposte garanzie di sicurezza a Kiev, sul sostegno finanziario addizionale, sull'inasprimento delle sanzioni alla Russia o sul processo di allargamento a meno che non si trovi un accordo sulla strategia futura per l'Ucraina». Traduzione: il vertice dei leader di metà dicembre è a rischio perché tutti questi temi richiedono l'unanimità e Orban senza troppi veli minaccia il veto.

Timore che qualcosa sia cambiato

Ora, che Orban sia il «signor no» dell'Ue non è un mistero ma sino ad adesso le impuntature di Budapest non hanno impedito all'Europa di rispondere a Mosca. Il timore, però, è che qualcosa sia cambiato e che il leader magiaro sia diventato più intransigente. Alcuni Paesi, specie nell'est, iniziano a domandarsi se non sia eterodiretto dal Cremlino (la recente stretta di mano con Vladimir Putin non ha aiutato).

«Se la tattica è quella di puntare i piedi per ottenere concessioni su altri tavoli, come ad esempio i fondi bloccati del Pnrr, è un conto, se invece l'intento è quello di mettere strategicamente in crisi l'Ue in vista delle elezioni europee, un altro», confida un'alta fonte europea. Bene. Michel tenterà di scoprirlo. Budapest d'altra parte si è vista congelare ben 37 miliardi di euro di vari fondi europei (non c'è solo il Pnrr) sullo sfondo del braccio di ferro con la Commissione – e in ultima istanza con lo stesso Consiglio – per il rispetto dello Stato di diritto, dell'indipendenza della magistratura e del buon uso dei fondi Ue. Tutti nodi che ora stanno arrivando al pettine.

Ma c'è di più. Al Consiglio di dicembre si parlerà anche di quattrini – ovvero la revisione del bilancio comunitario, con gli extra fondi chiesti dalla Commissione, in tutto quasi 90 miliardi – e di migrazione. I temi s'intrecciano fra loro e c'è il rischio che il no di Orban faccia in realtà comodo anche ad altri Paesi per nascondere varie stanchezze emerse dopo anni di crisi e che, prese nel loro complesso, potrebbero minare l'unità dei 27 proprio in un momento in cui serve un ulteriore, poderoso, scatto di reni. Nel sostegno all'Ucraina – su sanzioni, aiuti militari e finanziari, e appunto allargamento – ma pure, ad esempio, sulla migrazione (con l'approvazione del Patto). Un Consiglio fallimentare costerebbe molto all'Europa in termini di credibilità. Addossare la colpa al solo Orban permetterebbe di guadagnare tempo e salvare la faccia. Per un po', almeno.

SDA