Lutto stretto in Sudafrica per un uomo e per una stagione che ormai solo lui rappresentava, ultimo sopravvissuto del movimento anti-apartheid.
Andrew Mlangeni, che fu condannato con Nelson Mandela, è morto a 95 anni dopo essere stato ricoverato in un ospedale militare a Pretoria per dolori addominali.
Il suo decesso «significa la fine della storia di una generazione e mette il nostro futuro esattamente nelle nostre mani», ha detto il presidente Cyril Ramaphosa. Il leader sudafricano lo scorso 11 febbraio ha ricordato i 30 anni dalla scarcerazione di Mandela: alle sue prime parole «il mondo rimase letteralmente fermo», ha rievocato il capo dello Stato che all'epoca, da giovane politico, tenne emozionato il microfono a un uomo diventato icona.
La figura di Mandela e la segregazione razziale sudafricana furono portate alla ribalta internazionale dal processo Rivonia, che ebbe luogo dall'ottobre del 1963 al giugno del 1964 e si concluse con la condanna al carcere per gli attivisti anti-apartheid.
Secondo la biografia di Mlangeni del 2017, intitolata 'The Backroom Boy' (Il ragazzo dietro le quinte), Mandela lo scelse per unirsi ad altri cinque uomini nel primo gruppo di attivisti anti-apartheid sudafricani da inviare in Cina per l'addestramento.
La loro formazione comprendeva lezioni per la fabbricazione di bombe, trappole esplosive e tecniche di comunicazione segrete. Mlangeni ritornò in Sudafrica nel 1963 e divenne membro di Umkhonto we Sizwede, l'alto comando del movimento armato del partito African national congress (Anc).
Travestito da sacerdote, l'attivista viaggiò in Sudafrica reclutando giovani per l'addestramento all'estero da combattenti, finché fu arrestato e condannato per tradimento nel processo Rivonia. Mlangeni scontò 26 anni di carcere, prigioniero per la maggior parte del tempo sull'isola di Robben, accanto a Mandela.
Dopo la sua liberazione nel 1989, è stato parlamentare e ha vissuto a Soweto fino alla sua morte. Dopo tanti anni di reclusione ed esattamente come Mandela, Mlangeni non volle ritorsioni sui propri aguzzini perché credeva nel valore di una pace che, a differenza della vendetta, potesse garantire la libertà e l'unità dell'intero Paese, compatto nel rispetto dei diritti di tutti: una preziosa lezione universale che sopravvive alla sua dipartita.
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