Anniversario Nel '94 il genocidio in Ruanda: «Il mondo ci abbandonò»

SDA

7.4.2024 - 20:30

Gli artisti si esibiscono durante la cerimonia di commemorazione del 30° anniversario del genocidio dei Tutsi, noto anche come Kwibuka 30, a Kigali in Ruanda.
Gli artisti si esibiscono durante la cerimonia di commemorazione del 30° anniversario del genocidio dei Tutsi, noto anche come Kwibuka 30, a Kigali in Ruanda.
KEYSTONE

La comunità internazionale «ci ha abbandonati, ha deluso tutti noi sia per disprezzo sia per codardia». Nel trentesimo anniversario del genocidio che in 100 giorni provocò la morte di 800mila persone soprattutto tutsi ma anche hutu moderati, il presidente del Ruanda Paul Kagame lancia un pesante atto d'accusa a tutto campo, a chi non ha impedito il massacro, a chi si è chiamato fuori di fronte ai fiumi rossi di sangue e alle strade e alle chiese cosparse di cadaveri.

7.4.2024 - 20:30

Non fa nomi, davanti alle migliaia di persone radunate alla Bk Arena né davanti alla fiamma accesa al Memoriale del Genocidio a Kigali, dove riposano i resti di 250mila vittime, ma sono in molti a sentirsi chiamati in causa, Francia in primis, presente alle celebrazioni con il ministro degli Esteri francese Stéphane Séjourné e il segretario di Stato per il Mare Hervé Berville, nato in Ruanda.

Ed è stato il presidente francese Emmanuel Macron a riconfermare le «responsabilità» di Parigi ammesse con decenni di ritardo nel corso di una visita a Kigali nel 2021 quando riconobbe che «abbiamo tutti abbandonato centinaia di migliaia di vittime in questo inferno a porte chiuse», pur precisando che Parigi «non è stata complice» del genocidio.

Poche, asciutte parole per ribadire «tutto ed esattamente nei termini usati» il 27 maggio 2021: «Non ho nessuna parola da aggiungere, nessuna parola da togliere a quello che ho detto quel giorno».

Parigi è stata ripetutamente accusata di «complicità»

Parigi, che manteneva stretti rapporti con il regime hutu all'inizio del genocidio, è stata ripetutamente accusata di «complicità» da Kigali e la tensione era arrivata fino alla rottura delle relazioni diplomatiche tra il 2006 e il 2009.

Poi il riavvicinamento, reso possibile dalla creazione di una commissione di inchiesta da parte dello stesso Macron. E oggi anche la Torre Eiffel si illumina: «Kwibuka 30», è scritto sul simbolo della Francia a lettere cubitali, «Ricordare», nella lingua Kinyarwanda.

Ad ammettere la colpevole assenza di un qualche intervento anche il presidente della Commissione dell'Unione africana Moussa Faki Mahamat: «Nessuno, nessuno, nemmeno l'Unione Africana può sfuggire alla colpa della sua inerzia di fronte alla cronaca di un genocidio annunciato. Abbiamo il coraggio di riconoscerlo e di assumercene la responsabilità», ha detto davanti ai dignitari stranieri presenti tra i quali l'ex presidente americano Bill Clinton, all'epoca alla Casa Bianca, che aveva definito il genocidio il più grande fallimento della sua amministrazione.

L'attuale presidente, Joe Biden, che ha parlato di «morte senza senso», ha sottolineato che «non dimenticherà mai l'orrore di quei 100 giorni». E i vertici dell'Unione europea – il presidente del Consiglio Charles Michel è a Kigali – hanno espresso solidarietà e onorato il «coraggio quotidiano» e la «resilienza» dei sopravvissuti.

«Raddoppiare gli sforzi per portare alla giustizia i responsabili»

In Ruanda per sette giorni non sarà consentito trasmettere musica, né film né eventi sportivi in ricordo delle vittime di quel delirio di odio anti tutsi che si scatenò all'indomani dell'abbattimento dell'aereo sul quale viaggiava l'allora presidente hutu Juvénal Habyarimana.

Molte di esse sono ancora senza nome e trent'anni dopo le fosse comuni continuano a essere portate alla luce mentre centinaia di responsabili dei massacri sono ancora in libertà, molti rifugiati in Paesi vicini come la Repubblica democratica del Congo e l'Uganda.

«Gli Stati di tutto il mondo raddoppino gli sforzi per assicurare alla giustizia tutti i presunti responsabili ancora in vita», è l'appello lanciato da Volker Türk, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani.

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