Birmania Suu Kyi dai giudici, i manifestanti rischiano 20 anni

SDA

15.2.2021 - 19:29

Manifestanti per la democrazia
Manifestanti per la democrazia
Keystone

Soldati nelle strade, arresti e minacce di pene fino a vent'anni di reclusione: l'esercito birmano fa intravedere la possibilità di una repressione armata del movimento popolare di protesta contro il colpo di stato di due settimane fa.

La detenzione di Aung San Suu Kyi è stata prolungata almeno fino a mercoledì.

Passata l'euforia dei primi giorni di manifestazioni, che hanno portato nelle strade centinaia di migliaia di birmani in più città, la popolazione ora teme che la giunta stia perdendo la pazienza.

In migliaia in strada anche oggi per protesta

Migliaia di persone hanno protestato anche oggi a Yangon, Mandalay e Naypydaw, ma in numero molto minore rispetto alla settimana scorsa. Dopo il blocco di Internet la scorsa notte, sui social media serpeggia la paura: gli hashtag «Non siamo al sicuro», «Basta far male alla nostra gente» e «La giunta inizia la violenza» corredano ormai quasi ogni post su Facebook e Twitter.

Già ieri, nella città settentrionale di Myitkyina, militari hanno sparato proiettili – non è chiaro se di metallo o di gomma – contro manifestanti.

Sui social network girano fotografie di dimostranti feriti, mentre è ancora in fin di vita una ragazza di 20 anni colpita alla testa da un proiettile a Naypyidaw la settimana scorsa. Negli ultimi giorni, molti birmani si sono allarmati alla vista di ronde notturne di scagnozzi del regime, per individuare chi ha partecipato alle proteste. Ostruire le forze armate potrebbe costare fino a vent'anni di carcere, e pene severe sono previste anche per incitare «odio o disprezzo» dei leader golpisti.

Rimane incerto anche il destino di Aung San Suu Kyi

Nel frattempo rimane incerto anche il destino di Aung San Suu Kyi, arrestata due settimane fa e mai più vista da allora. Il suo avvocato ha detto oggi che la detenzione della 'Signora' è stata estesa fino a mercoledì, quando ci sarà la prima udienza – in videoconferenza – relativa all'accusa di detenzione di sei walkie-talkie importati illegalmente, un reato che comporta fino a tre anni di reclusione: una condanna significherebbe la sua esclusione dalle elezioni che la giunta sostiene di voler organizzare il prossimo anno, per rimpiazzare quelle dello scorso novembre che i militari considerano fraudolente.

In tutto sono oltre 400 le persone – politici, critici della società civile, dimostranti – arrestate in 15 giorni. Il relatore speciale dell'Onu per i diritti umani, Tom Andrews, ha scritto su Twitter che «è come se i generali avessero dichiarato guerra alla popolazione».

Non sarebbe la prima volta: ma una repressione armata, come nel 1988 e nel 2007, riporterebbe davvero la Birmania indietro nel tempo, azzerando del tutto i fragili progressi della transizione verso la democrazia iniziata un decennio fa.

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