L'analisiTrump causa ulteriori divisioni, perlomeno nel suo partito
Philipp Dahm
28.1.2021
I Repubblicani sono in subbuglio: dopo i critici, la parola passa ora ai fedeli di Trump. Quest’ultimo, se necessario, minaccia di fondare un nuovo partito: la disputa interna è in pieno svolgimento.
Bernie Sanders ammonisce il suo partito: «Permettetemi di parlare chiaramente: non ho alcun dubbio che, se non riusciremo a migliorare significativamente la vita degli statunitensi, i Democratici saranno spazzati via alle elezioni di metà mandato del 2022».
Forse, però, non è necessario che il settantanovenne si preoccupi così tanto prima della prossima tornata elettorale: se il senatore del Vermont sarà fortunato, il suo avversario politico si autodistruggerà prima. Dipende dalla decisione di Donald Trump di fondare o meno un partito di opposizione.
Corre voce che l’ex presidente voglia dar vita a un «Patriot Party» per poter continuare a esercitare la propria influenza in politica, ma sembra essere una scelta problematica negli Stati Uniti. Non di per sé, bensì perché esisteva già un Patriot Party negli anni Sessanta e Settanta ed era proprio un partito socialista. Anche la somiglianza nominale alla frazione di destra del White Patriot Party risulta sconveniente.
Eppure, il partito potrebbe anche semplicemente avere un nome diverso: secondo il «Washington Post», la scelta potrebbe ricadere su «New Party» o «Maga Party». Donald Trump, dunque, vuole riservarsi questo passo per l’eventualità in cui ancora più Repubblicani decidano di pronunciarsi a suo sfavore nel processo di impeachment.
Ted Cruz, il secondo di Trump
«[Trump] ha chiarito che il suo obiettivo è quello di riconquistare la Camera e il Senato per i Repubblicani nel 2022», dichiara Jason Miller, consulente dell’ex presidente, ammonendo velatamente il partito. «Attualmente, non esistono piani per procedere al di fuori di questa cornice, ma se [la fondazione di un nuovo partito] sia destinata a diventare qualcosa di più concreto dipende dai senatori repubblicani.»
I Repubblicani, infatti, sono tanto divisi quanto il Paese che hanno governato fino a poco fa. Da un lato, i sostenitori di Trump, come Ted Cruz, Josh Hawley o Marjorie Taylor Greene, attualmente tutti sotto i riflettori. Ted Cruz si è scontrato aspramente su Twitter con Greta Thunberg o l’attore Seth Rogen.
Cruz ha cercato di prendere di mira Pete Buttigieg, nominato Segretario dei trasporti, ma le sue domande critiche sul blocco dell’oleodotto Keystone XL non hanno avuto successo. Ciononostante, si tratta di un segnale chiaro: Cruz si è messo nella posizione di guidare l’assalto del partito contro i Democratici in qualità di uomo di punta di Trump.
Il sobillatore Hawley e la complottista Greene
Contro Cruz e Josh Hawley, i Democratici hanno persino presentato ricorso per motivi etici: secondo i critici, Cruz e il quarantunenne del Missouri hanno contestato la legittimità della convalida dell’elezione di Joe Biden, incitando così all’assalto a Capitol Hill.
Un’immagine di Hawley mentre solleva il pugno in direzione del raduno di Washington è circolata sui media statunitensi, provocando la perdita di finanziatori e di un contratto editoriale per il Repubblicano, ma conquistando punti a sua favore agli occhi della destra. Marjorie Taylor Greene, invece, è la Repubblicana eletta alla Camera dei rappresentanti della Georgia e ha già ricevuto richieste di rassegnare le dimissioni.
Josh Hawley greeted the violent attackers with a raised fist. White Supremacist, Fascist salute. pic.twitter.com/b5NJyH9CKK
Non, però, perché la quarantaseienne è tra i sostenitori della teoria complottista QAnon o perché vuole ottenere un impeachment contro il nuovo presidente appena insediatosi, Joe Biden. Greene è piuttosto chiamata a rispondere dei dubbi che ha espresso in passato sul massacro della scuola di Parkland e sugli attacchi dell’11 settembre 2001.
Le «banderuole»: Cawthorn, Graham, McConnell
Oltre ai trumpisti, c’è anche il gruppo delle «banderuole». L’influente militante Lindsey Graham si è in qualche modo distanziato da Donald Trump dopo l’assalto a Capitol Hill («Quando è troppo è troppo»), ma dopo un colloquio con l’ex presidente è tornato in riga e si pronuncia contro il processo di impeachment che dovrebbe avere inizio l’8 febbraio.
A tal proposito, anche Madison Cawthorn è una figura interessante: il giovane deputato disabile della Carolina del Nord è l’astro nascente del partito e ha difeso a lungo Trump. Ora il venticinquenne si è rassegnato: «La Costituzione ci ha permesso di opporre resistenza come abbiamo fatto finora e ho sfruttato al massimo questa possibilità, in base a ciò che mi ha consentito la Costituzione. Eppure, adesso direi che Joe Biden è il nostro presidente», confessa Cawthorn sulla CNN.
This is the point that everyone should have been making from the beginning: If this was about “election integrity” and not politics, why were the red staters only focused on purple states? As Brown points out, Cawthorn is from a state with documented election fraud (by the GOP)! https://t.co/GTtZwFYtA8
Tutta un’altra storia per Mitchell McConnell: il nuovo leader della minoranza repubblicana in Senato ha criticato Trump e i suoi seguaci per aver «fomentato i disordini con le loro bugie». Il senatore settantottenne del Kentucky è ora sottoposto a un’enorme pressione a causa del processo di impeachment.
«Traditori» nel mirino
Secondo uno stratega politico, però, cerca solo di agire in maniera lungimirante per il partito. «Il suo è un pensiero a lungo termine», spiega Scott Reed al «Guardian». «Non pensa solo ai prossimi mesi. Pensa già ora alle [elezioni di metà mandato] del 2022 e [alle presidenziali del] 2024.»
Liz Cheney e Tom Rice sono sulla lista nera interna del partito: i senatori repubblicani del Wyoming e della Carolina del Sud si sono schierati con i Democratici, votando a favore del processo di impeachment. Anche Lisa Murkowski dell’Alaska ha rivelato di ritenere plausibile una condanna di Trump.
Brian Kemp della Georgia sarebbe caduto in disgrazia per aver rifiutato di mettere in dubbio i risultati elettorali nel suo Stato. Al contrario, era prevedibile la decisione di Mitt Romney di schierarsi contro l’ex presidente: già durante il primo processo di impeachment, il mormone era tra i maggiori critici di Trump nel suo partito.
I corridoi del potere occupati nel partito
Kemp e Murkowski vogliono riconfermarsi come senatori nel 2022, purché il loro stesso partito non glielo impedisca. Gli avvenimenti recenti in Arizona e a Washington mostrano come potrebbe evolversi la situazione per i dissidenti in futuro.
Non solo il Grand Old Party ha confermato Kelli Ward, fedele sostenitrice di Trump, nel ruolo di presidente di partito dell’Arizona, ma ha anche osteggiato noti e importanti esponenti del partito: il governatore Doug Ducey, l’ex senatore Jeff Flake e Cindy McCain sono stati censurati dai Repubblicani. Ducey a causa della sua politica severa in materia di coronavirus, Flake per aver accusato il suo partito di populismo e la vedova di John McCain per aver appoggiato l’elezione di Biden.
Secondo Liam Donovan, la fazione di Trump ha le carte migliori nel partito. Infatti, secondo il lobbista repubblicano, il newyorchese non si sarebbe limitato a occupare cariche importanti a livello di Stato con i suoi sostenitori. «I leader di partito negli Stati federali sono la forza trainante, non le élite. Lo zoccolo è costituito da Repubblicani irriducibili che equivale a dire trumpisti irriducibili. Li ha convertiti completamente.»
La lunga ombra di Trump
La disputa interna dei Repubblicani si ripercuote già sulle fondamenta della politica. La fazione di destra, incitata da «Fox News», parte alla caccia dei dissidenti tra i conservatori. Il conduttore Sean Hannity caldeggia la sostituzione di Mitch McConnell per le sue critiche a Trump. A causa della tensione, inoltre, diversi deputati sono stati minacciati.
Secondo l’«Huffington Post», perciò, anche dopo il giuramento di Biden rimangono ancora soldati della Guardia Nazionale nella capitale. Il clima di paura dovrebbe proprio fare il gioco di Trump. Finché i Democratici non riusciranno a ottenere il voto di 16 senatori repubblicani per l’impeachment, il settantaquattrenne non dovrà temere di essere condannato.
Qualora il partito decidesse di abbandonarlo, il suo sarebbe comunque un ricco arsenale. Una somma multimilionaria a tre cifre potrebbe essere il trampolino di lancio per far emergere un partito collocato a destra dei Repubblicani. Se, invece, il partito non si schierasse in grande stile contro di lui, Trump potrebbe sempre promuovere singoli candidati rivali, che renderebbero poi difficile la vita ai Repubblicani a lui invisi, come Liz Cheney e Tom Rice.
President Trump is still the leader of the Republican Party and the America First movement.
Ciò che è sicuro è che il 45° presidente non è stato rieletto. Al contrario, per lungo tempo sarà impossibile prevedere se e quando inizierà l’era post-trumpiana per i Repubblicani.