Tensione alle stelle sull'asse Washington-Mosca, divise dalla grave crisi in corso in Venezuela. Crisi che ha vissuto un'altra giornata di duri scontri per le strade di Caracas, con il bilancio delle vittime che sale almeno a quattro.
Tra queste una donna e due minorenni, colpiti dagli spari esplosi durante le proteste anti-Maduro. La ong venezuelana Foro Penal parla anche di almeno 205 manifestanti arrestati tra cui 15 minori.
«La brutale repressione del popolo venezuelano deve finire», è stato il nuovo monito del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Ma alla Casa Bianca – raccontano i bene informati – cresce un sentimento di frustrazione e di incertezza. Perché dopo quella che sembrava la spallata decisiva al regime da parte della piazza, Maduro è ancora lì al suo posto, al potere, e soprattutto avendo ancora il controllo di gran parte delle forze armate.
A Washington, insomma, ci si era forse un po' illusi che si fosse alle battute finali e che la chiamata alla rivolta del leader dell'opposizione Juan Guaidò portasse davvero alla fine in poche ore del regime.
Invece così non è stato, e Maduro in segno di sfida si è mostrato in tv, a reti unificate, alla testa di un gruppo di soldati alla base militare Fuerte Tiuma, nell'area della capitale: «Le forze armate sono fedeli e coese», ha annunciato, smentendo Guaidò secondo cui l'esercito sarebbe ora dalla sua parte. E instillando più di un dubbio alla Casa Bianca, al Pentagono e al Dipartimento di Stato Usa: comincia infatti a serpeggiare il dubbio che forse le notizie di intelligence in mano agli 007 Usa sulla tenuta di Maduro e sulla capacità dell'opposizione erano forse inadeguate. Così come forse non del tutto corretta è stata la lettura di quanto stava accadendo nelle ultime ore nella capitale venezuelana, dove prima si è parlato di golpe in corso, poi di rivolta, e ora tutto assume i contorni più di una forte protesta di piazza che di altro.
Ma a preoccupare è lo scontro con la Russia, che ha reagito duramente dopo che il segretario di Stato americano Mike Pompeo e il consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca John Bolton hanno ribadito che per gli Usa «tutte le opzioni restano sul tavolo», compresa quella di un intervento militare per liberare il popolo venezuelano dalla tirannia.
Il monito del ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov agli Usa è stato durissimo: «Non interferite negli affari interni del Venezuela o ci saranno conseguenze gravi». Lavrov ha parlato di «posizioni incompatibili» tra Russia e Stati Uniti riguardo a quanto sta accadendo a Caracas, ma non ha chiuso la porta al dialogo. Ed è probabile che la prossima settimana si incontrerà con Pompeo a margine del Consiglio Artico in programma in Finlandia il 6 e 7 maggio, a Rovaniemi.
Intanto però Mosca ha minacciato di costituire un blocco di Paesi, coalizzando tutti coloro che sono contro l'approccio definito «aggressivo» degli Usa. E ha chiesto un forte sostegno dal palazzo di Vetro dell'Onu «per la difesa delle norme fondamentali e dei principi del diritto internazionale così come sono definiti nello Statuto delle Nazioni Unite». Smentita anche la versione secondo cui la Russia avrebbe chiesto a Maduro di restare quando era già pronto a fuggire dal Paese sudamericano di fronte al pericolo di una rivolta di massa appoggiata dall'esercito.
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