Tumori o malattie autoimmuni «Ammalate sul lavoro», l’EOC contesta

SwissTXT / pab

1.2.2021

Le infermiere hanno lavorato nel reparto di chirurgia dell’ospedale San Giovanni di Bellinzona
Le infermiere hanno lavorato nel reparto di chirurgia dell’ospedale San Giovanni di Bellinzona
Ti-Press

Sette infermiere dell’Ente Ospedaliero Cantonale (EOC) si sono ammalate gravemente e ora chiamano in causa proprio l’EOC, poiché, secondo loro, la causa è una contaminazione da sostanze chimiche, avvenuta tra la fine degli anni '70 e l’inizio del 2000, nel reparto di chirurgia del San Giovanni di Bellinzona.

Il caso è apparso domenica sul Caffè, che ha dedicato alla vicenda una lunga inchiesta, citando diversi passaggi della lettera di denuncia delle infermiere e delle successive risposte. La missiva risale alla primavera del 2019 ed è stata indirizzata all’Ispettorato del lavoro, all’Ufficio del medico cantonale e alla direzione dell’ospedale.

«Lavoravamo senza adeguate misure di sicurezza»

Le sette infermiere hanno sviluppato tumori o malattie autoimmuni e una di loro è deceduta la scorsa primavera. Hanno lavorato nel reparto di chirurgia uomini dagli anni '80, occupandosi anche della preparazione di farmaci per la chemioterapia.

Lavoravano in un piccolo locale nel reparto e, secondo quanto hanno raccontato al domenicale, senza le dovute misure di sicurezza, riferendosi alla mancanza di una cappa di aspirazione, ma anche all’assenza di protezioni individuale, come guanti o visiere.

Un lavoro - specificano ancora - che sarebbe dovuto avvenire in ambulatori oncologici debitamente attrezzati. Oltre alla contaminazione da chemioterapici, ci sarebbe quella da formaldeide, sostanza nociva contenuta in un prodotto per disinfettare le superfici.

La direzione del San Giovanni, dopo aver incontrato le dirette interessate e aver commissionato a un gruppo di specialisti un'analisi medico scientifica, ha comunicato loro le conclusioni dello studio. Studio secondo cui non ci sono prove scientifiche né nessi di causalità tra l'esposizione alle sostanze citate e le patologie sviluppate. Le loro, specifica l'ospedale, non sono dunque malattie professionali.

L’EOC contesta le accuse

Non soddisfatte, le infermiere hanno chiesto tramite il loro legale ulteriori approfondimenti e in una nuova risposta, risalente al mese di luglio, l’EOC ha contestato parte delle accuse ricevute, specificando che la preparazione dei chemioterapici all’epoca dei fatti non avveniva nei reparti, ma in ambulatori di oncologia, con gli adeguati mezzi di protezione.

L’ente ha inoltre sottolineato che il caso, qualora intendessero intraprendere una causa legale, è caduto in prescrizione. Una risposta contestata dal legale delle infermiere che si è appellato, fra le altre cose, alla responsabilità sociale dell'ospedale.

Il dossier sul tavolo del Consiglio di amministrazione

Fin qui quanto emerso sul caso. I dossier sono però ora sul tavolo del Consiglio di amministrazione dell’EOC, che vuole ripercorrere l'intera vicenda per chiarire eventuali responsabilità.

Il presidente Paolo Sanvido, interpellato dalla RSI, ha dichiarato: «Per noi il capitale umano è quello più prezioso, e lo abbiamo sempre dimostrato. La garanzia di sicurezza sul posto di lavoro per noi è una priorità e abbiamo sempre mantenuto una comunicazione trasparente con le infermiere, ci stiamo occupando del caso».

Quindi la vostra posizione è diversa? «No, quella dell’EOC è una posizione sola – risponde Paolo Sanvido –, è stato stabilito da specialisti che non c’è un nesso di causalità. Ma quello che sto dicendo è che il dossier è arrivato sul tavolo del Consiglio di amministrazione, vogliamo capire tutto di questa vicenda. Se dovesse essere dimostrato un nesso di causalità è chiaro che non potremmo sottrarci alle nostre responsabilità, ma prima vogliamo appurarlo».

«Siamo certi che le norme di sicurezza non siano state violate – continua Sanvido –, abbiamo più di un rapporto che lo conferma. C’è tuttavia un’insistenza da parte di nostre infermiere o ex infermiere, e questo è qualcosa di importante. Vogliamo dunque prenderci il tempo necessario per capire a fondo tutta la fattispecie».

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