I polacchi a LosoneLa guerra di oggi come la guerra di ieri
SwissTXT / red
12.9.2022
Durante la seconda guerra mondiale centinaia di soldati polacchi e ucraini, costretti dai nazisti a lasciare la Francia, furono internati a Losone. La testimonianza.
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12.09.2022, 09:46
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La guerra di oggi - che spinge la gente a lasciare le proprie terre - come la guerra di ieri, che ha portato centinaia di soldati polacchi e ucraini in Ticino durante la seconda guerra mondiale.
Costretti dalle truppe naziste a lasciare la Francia dove erano esiliati, furono internati a Losone, proprio dove oggi sorge l'ex caserma. Durante il loro soggiorno aiutarono a costruire strade e ponti.
Una di loro compie 80 anni e ieri domenica c'è stata una cerimonia a Losone. La RSI ha ripercorso questa pagina di storia grazie alla testimonianza del figlio di uno di questi soldati polacchi.
La strada dei polacchi, si chiama proprio così, si snoda lungo il bosco tra Golino e Arcegno, con alcuni tornanti che permettono di superare il dislivello. Fu terminata nel 1942, come ricorda una targa apposta al lato della carreggiata. A costruirla contribuì anche Antoni Olaniszyn, nato in Galicja (regione storica polacco-russa), emigrato in Francia nel 1928, senza sospettare che il suo futuro sarebbe stato a Losone. Losone, dove la RSI ha incontrato il figlio Jan Olaniszyn.
«Mio padre è entrato in Svizzera con l'armata polacca nel giugno 1940, attraversando il Giura, è stato internato prima nella Svizzera tedesca. La maggioranza dei polacchi è stata internata a Büren, nel Canton Berna, mentre gli altri 450 a Losone».
Stavano scappando in Svizzera.
«Si, avevano ricevuto l'ordine dal Governo di Vichy di ritirarsi verso la Svizzera. Erano pressati dalla Wehrmacht, che li stava praticamente distruggendo, perché loro erano un battaglione di cavalli e i nazisti avevano i carri armati».
Come furono accolti all'entrata?
«Tutto fu diretto dal generale Guisan perché, oltre i 12'000 polacchi c'erano i francesi, c'erano anche 5'000 civili e questa colonna non s'è mai fermata. Le loro armi le depositavano marciando».
Cosa le raccontava suo padre di quegli anni?
«Non era parco di informazioni. Era un duro, alto due metri, un pezzo di uomo con delle mani che erano il doppio delle mie, che sono già grandi. Un tipo forte, un allevatore di cavalli, insomma, si può immaginare. Mi trattava un po' come i cavalli diciamo (ride n.d.r.), però una persona veramente di stampo antico, con dei principi ecc. Si è integrato bene e ha lavorato. Grande lavoratore. Si è adeguato alle direttive della Confederazione. C'era il piano Wahlen e ha partecipato a Losone, specialmente alla strada dei polacchi, ai disboscamenti, hanno costruito ponti, strade, acquedotti».
E poi il sabato e la domenica si andava a dare una mano nei campi.
«Sabato e domenica andavano a lavorare per chi voleva. La tariffa era 50 centesimi all'ora»
E guarda caso una era quella di suo nonno.
«Guarda caso era quella di mio nonno, Arnoldo Candolfi. C'era mia mamma che aiutava in casa....».
Com'era il rapporto con suo nonno e in generale con i losonesi?
«Molto buono. Qui a Losone c'erano 5 o 6 polacchi che si sono sposati e hanno creato famiglia. Mio padre è rientrato in Francia e poi dopo ci siamo stabiliti definitivamente in Ticino».
C'è ancora chi si ricorda? C'è ancora questa memoria di queste persone che hanno dato una mano?
«Direi poco, perché ormai le generazioni sono passate. Ci siamo tutti integrati molto bene».
Forse però ha contribuito anche a far sparire un po' quella memoria.