Processo Tentata strage alla Commercio, chiesti 7 anni e mezzo per il giovane

SwissTXT / pab

1.7.2020

La sede della Commercio di Bellinzona
La sede della Commercio di Bellinzona
archivio Ti-Press

Il procuratore pubblico Arturo Garzoni ha chiesto alla Corte delle Assise criminali la condanna del 21enne accusato della tentata strage alla Scuola cantonale di commercio di Bellinzona a 7 anni e mezzo per atti preparatori punibili di assassinio plurimo.

Una pena detentiva che, date le condizioni dell'imputato, va sospesa per un trattamento psichiatrico stazionario.

Nella sua requisitoria il rappresentante dell'accusa che ha portato in aula l'inchiesta che ha ripreso da Antonio Perugini ha ripercorso quello che ha definito «uno dei casi più inquietanti della nostra storia giudiziaria, un caso senza precedenti in Svizzera e forse in Europa».

Una strage che sarebbe stata compiuta

Per Arturo Garzoni, tutti i segnali portano ad affermare che il giovane, all'epoca dei fatti 19enne, avrebbe davvero compiuto quella strage che aveva minuziosamente preparato. L’aveva messa nero su bianco in molti scritti e in un video-testamento.

Proprio il messaggio registrato, per l’accusa, è la prova che sarebbe passato all’atto, che il 15 maggio 2018 avrebbe davvero ucciso in modo indiscriminato studenti, docenti, personale scolastico. Il video per Arturo Garzoni «fa rabbrividire, agghiacciante, sconvolgente, una vera e propria confessione».

Il 21enne, si è appreso nel corso della prima giornata dibattimentale, aveva anche preparato delle piantine della scuola: con delle X per fissare dove avrebbe sparato prima di uccidersi, al quinto piano. E poi aveva l’equipaggiamento personale, un vestito nero da combattimento, le armi, molte (che sapeva usare), e i proiettili, 310 quelli che aveva a disposizione.

Odio e rabbia verso se stesso

L’odio e la rabbia verso se stesso (sempre secondo la ricostruzione dell’accusa, ma è emerso anche nella fase iniziale del procedimento) e il desiderio di uccidere parte da lontano. Da quando era stato licenziato, come apprendista, dopo un furtarello sul posto di lavoro.

Un errore che non si è mai perdonato e che lo ha spinto nella depressione, la stessa depressione che non gli ha permesso di gestire le molte delusioni d’amore. L’ultima poco prima di cominciare a pianificare la strage. Una strage che per lui rappresentava una sorta di riscatto, che lo avrebbe fatto uscire dall’anonimato.

Per il procuratore pubblico l’odio che il 21enne provava verso se stesso lo portava a fare del male agli altri che in questo modo lo avrebbero odiato almeno quanto lui odiava se stesso.

«Lei deve farsi curare»

Nella prima parte del pomeriggio il giovane è stato più volte chiamato ad assumersi le sue responsabilità. Secondo la Corte, non ha mai davvero fatto un percorso di elaborazione, di presa di coscienza di quanto ha fatto.

E neppure ha mai accettato il suo disagio psichico (confermato da una perizia psichiatrica) e la necessità di curarsi. Sta già scontando la pena in foyer fuori dal Ticino, dove fa attività di studio e giardinaggio.

Il giovane non ha pienamente intrapreso il percorso di presa di coscienza, ha detto il giudice Mauro Ermani, non solo a causa sua. Nell'aula allestita al Palazzo dei congressi di Lugano sono stati messi in evidenza alcuni problemi e lacune in fase di inchiesta.

Primo fra tutti il trasferimento dell'imputato in una struttura aperta dove è rimasto in attesa di essere spostato in Svizzera interna per l’esecuzione anticipata della pena. Uno spostamento che, è stato sottolineato in aula, è avvenuto ancora prima che il perito psichiatrico si esprimesse sulla diagnosi e la presa a carico.

Un metodo di procedere che non si è mai visto – ha detto il presidente della Corte– e che non dovrà mai più ripertersi. La competenza di esprimersi sulle misure e sul luogo di esecuzione delle pena è infatti dei giudici, non del procuratore pubblico.

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