La crisi del coronavirus ha messo in luce la maggiore vulnerabilità delle donne, e di alcune categorie professionali, sul mercato del lavoro e quanto sia ancora difficile conciliare vita familiare e professionale.
Nel corso di un dibattito di attualità, il Consiglio nazionale ha discusso del tema e di quali misure adottare in favore della parità di genere.
Gli uomini sono stati molto presenti durante la crisi, tra specialisti ed esperti, sembrava che fossero solo loro a salvarci, eppure c'erano anche le donne alla cassa, negli ospedali, come personale di polizia, ha rilevato Irène Kälin (Verdi/AG), aggiungendo che tutto ciò ha messo in evidenza come la parità di genere non sia ancora stata raggiunta, malgrado lo sciopero e le grandi manifestazioni dello scorso anno. «Le donne hanno un'importanza sistemica e sono rilevanti.»
«Nella famiglia sono ancora troppo spesso loro ad assumersi l'onere», ha da parte sua rilevato Greta Gysin (Verdi/TI). Alla fine dei conti il lavoro gratuito offerto dalle donne è talmente grande che fa comodo non riconoscerlo, ha proseguito, aggiungendo che dopo gli applausi abbiamo il dovere di dare dei diritti, delle garanzie a queste lavoratrici. Kathrin Bertschy (PVL/BE) ha ricordato che spesso sono le donne le prime a ridurre il tasso di occupazione in tempi di crisi perché hanno lavori più precari.
La precarietà dei lavoratori domestici – donne delle pulizie, babysitter e molti altri – è enorme e la crisi del coronavirus non fa che peggiorare questa situazione, secondo Ada Marra (PS/VD). Molti datori di lavoro hanno smesso di pagare i salari, congedandoli senza garantire alcun reddito e, per varie ragioni, hanno beneficiato solo in minima parte dell'indennità per lavoro ridotto o per perdita di guadagno. «La loro precarietà è anche dovuta al fatto che lavorano in nero. Chiediamo un salario minimo e un contratto tipo per queste persone.»
«Non distogliamo lo sguardo dalle situazioni precarie», ha replicato il ministro dell'Economia Guy Parmelin, ricordando che i licenziamenti ingiusti sono illegali e dicendosi pronto a migliorare la comunicazione su questo tema per garantire che le famiglie che fanno capo tali servizi ne siano consapevoli.
Diversi oratori UDC hanno sostenuto che è pericoloso in una situazione di crisi condurre un dibattito come questo, «contro gli uomini». Diana Gutjahr (SVP/TH) ha per esempio sottolineato che anche altri lavori meritano di essere rivalorizzati, non solo quelli svolti in maggioranza dalle donne, come gli autotrasportatori, che durante la pandemia hanno continuato a rifornire i negozi.
«Sono un uomo, sono bianco, sono svizzero, ho molti privilegi», ha invece ammesso Fabien Fivaz (Verdi/NE), esprimendo la preoccupazione che sua figlia non abbia le stesse opportunità e condizioni di vita di suo figlio. Molti altri uomini sono intervenuti, come lui, per chiedere la parità.
Di fronte a tutte queste considerazioni, il Consiglio federale si è limitato a rispondere elencando quello che già è stato fatto. «A un anno dallo sciopero delle donne, le richieste di gran parte della popolazione sono ancora valide», ha comunque ammesso il ministro dell'Interno Alain Berset, riconoscendo che la crisi ha un impatto sicuramente maggiore sulle donne.
Il governo è impegnato su temi quali l'assistenza domiciliare, la rivalutazione delle professioni di importanza sistemica e la parità di retribuzione, ha proseguito Berset, snocciolando le varie misure e i programmi già in atto.
Alla fine il plenum ha accolto con 139 voti a 57 un postulato della sua presidente Isabelle Moret (PLR/VD) che incarica il Consiglio federale di fornire un quadro delle esigenze e dell'offerta in materia di consulenza per facilitare il reinserimento professionale delle donne che hanno smesso di lavorare per ragioni familiari.
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