Un intero paese deve essere evacuato a causa dell’ex deposito di munizioni di Mitholz, che il Consiglio federale ritiene ancora pericoloso. Cosa ne pensano gli abitanti di questa decisione? Reportage dalla valle del Kander.
Nevischia a Mitholz, nell’Oberland bernese. Le montagne che costeggiano la strada che attraversa il paese sono avvolte dalla nebbia. L’atmosfera è uggiosa. Poco importa, gli abitanti di Mitholz hanno ben altre preoccupazioni che la nebbia.
I circa 170 abitanti del paesino hanno appena saputo che il Consiglio federale evacuerà definitivamente il luogo a partire dal 2030. Tutti se ne andranno. Dovranno stare lontano per dieci anni e abbandonare le loro case.
La ministra della Difesa Viola Amherd ha comunicato la decisione alla popolazione attraverso una lettera e un videomessaggio. A causa dell’epidemia da coronavirus non è possibile organizzare alcun evento informativo. «Nemmeno quello», si rammarica più tardi un’abitante del paese.
L’evacuazione dell’intero paese è necessaria affinché il governo federale possa smantellare l’ex deposito di munizioni che si trova lì – si tratta di 3'500 tonnellate di bombe e altro materiale. Nel 1947 un’esplosione avvenuta nel deposito ha provocato la morte di nove persone.
Le munizioni sono ancora conservate nella montagna dietro il paese. E secondo la Confederazione questa situazione comporta sempre dei rischi. Che fare allora? Negli ultimi due anni e mezzo, dei comitati di lavoro hanno effettuato analisi dei rischi e stilato relazioni – e adesso l’evacuazione è un dato di fatto.
L’evacuazione è stata approvata dalla «gran parte degli abitanti di Mitholz», secondo quanto riporta il comunicato stampa della Confederazione. Una signora di una certa età vede le cose in maniera diversa. Appoggiata a un bastone, si trova sul balcone della casa in legno che affaccia direttamente sulla Hauptstrasse di Mitholz. «In 70 lunghi anni non è successo niente nonostante il deposito di munizioni – e adesso, all’improvviso, dobbiamo abbandonare le nostre case. Non capisco», afferma.
Lo sguardo della donna si perde lontano. «Questa evacuazione mi fa paura.» Fa una pausa. «Spero di morire prima.»
«Casa mia è qui»
Segue una domanda retorica: dove deve andare alla sua età? A Kandergrund? Cosa ci vado a fare là? Casa mia è qui. È qui che sono nata e cresciuta.» Kandergrund e Mitholz fanno parte dello stesso comune ma non formano davvero una stessa entità, come ci spiegherà più tardi un’abitante di Kandergrund.
Poche case più in là, un cartello in legno annuncia l’inizio di Finn. È là già da quattro anni. «Sì sì, dopo l’evacuazione il paese attirerà di più le giovani generazioni», ammette la signora. Questo lo capisce. «Ma io non voglio andarmene. La mia casa diventerà antiquata nei dieci anni di lontananza. Chi pagherà tutto questo?» Teme che Mitholz diventi un paese fantasma. (Vedere qui l’opinione degli urbanisti su questo tema, in tedesco.)
«Cosa possiamo farci?»
Il vento porta odore di fattoria. Uscendo dal paesino e attraversando la neve, ci si trova all’entrata del bunker, davanti alla porta del deposito di munizioni. È qui, appena dietro il paese, che le bombe sono state immagazzinate nella montagna. Una donna di una sessantina d’anni si avvicina con un cane. Le sue parole sono chiare: «Io non voglio andare via.» per lei questo «pezzetto di terra» è magnifico. Sospira. «Ma è così. Cosa possiamo farci?»
Resta comunque ancora una dozzina di anni prima che cominci l’evacuazione vera e propria. «È come per la crisi da coronavirus: molti sperano che un vaccino li salverà, spiega la donna. Io spero in una svolta tecnologica che ci salvi e ci permetta di evitare di dover abbandonare il paese.»
«Per gli abitanti del paese è dura»
È il momento dell’incontro con Roman Lanz, sindaco di Kandergrund. L’autobus scende per la vallata passando per le poche fermate di Mitholz fino ad arrivare al comune di Kandergrund. « È dura per gli abitanti che devono lasciare il paese», afferma il conducente dell’autobus. Lui ne conosce parecchi. «Sono davvero dispiaciuto per loro.»
Roman Lanz è alla sua quinta intervista della giornata. E non è ancora mezzogiorno. Il sindaco è contento che questa decisione sia stata presa, per ragioni di chiarezza. «Abbiamo lavorato due anni e mezzo per arrivare a questo momento», dice. L’obiettivo è quello di far sparire il fardello del passato. « È giusto non tramandarlo alle generazioni future.»
Roman Lanz non ha ancora ascoltato alcuna reazione da parte degli abitanti del paese. «La decisione del Consiglio federale adesso va affrontata», aggiunge. Non si può immaginare ciò che questa situazione significhi davvero per ogni abitante, continua. «Come comune, ci troviamo di fronte ad un compito enorme.» Dovremmo cominciare subito con l’attuazione. «Vogliamo essere vicini alle persone e sostenerle con ogni mezzo possibile», afferma il sindaco.
«La gente qui nella vallata non la pensa allo stesso modo»
Fuori, il cielo si apre, i raggi del sole tagliano la nebbia. Un’escursionista, che viene da Thun, vuole fare il tour del Blausee. Conosce ovviamente il deposito di munizioni poiché è un argomento discusso anche a Thun, afferma. Tuttavia « La gente qui nella vallata non la pensa come noi.» la donna non vuole esprimere giudizi. «In passato le persone di qui erano filo-militari perché il deposito creava occupazione», conclude semplicemente. Secondo lei ormai le cose stanno cambiando.
È il giorno di chiusura per il ristorante Altels che si trova di fronte al municipio, esattamente come il ristorante Balmhorn a Mitholz. Invece l’hotel ristorante Felsenburg situato vicino al Blausee è aperto. È pieno di lavoratori e clienti che fanno una gita in giornata.
Dopo un pranzo movimentato, il titolare Markus Ryter ha il tempo di prendersi un caffè. Come la signora incontrata a Mitholz, anche lui trova «un po’ strano» che «adesso, improvvisamente», sia necessario evacuare il paese. «Ma ormai è così», aggiunge. Una decisione ancor più strana per lui che ha «lavorato come idraulico nel bunker militare» negli anni ’80.
Il ricollocamento, «un grande mistero per tutti noi»
Markus Ryter è nato e cresciuto nell’attività che oggi dirige. È intimamente legato a Kandergrund. Intervistato a proposito di quello che accadrà agli abitanti di Mitholz, si stringe nelle spalle. «Forse si potranno costruire degli alloggi da noi per gli abitanti di Mitholz.» Capisce però che non a tutti vada bene. «Noi siamo forse un unico comune ma viviamo separati.»
L’evacuazione non lo riguarda direttamente. «Finché il traffico di passaggio non si ferma, il mio ristorante sarà sempre pieno», afferma il ristoratore. «Ma è davvero difficile per gli abitanti di Mitholz che devono lasciare le loro case.» Cita soprattutto gli agricoltori: «Come si fa a trovare una nuova sistemazione per loro e i loro animali? È un grande mistero per tutti noi.»
«Incredibilmente difficile»
E come risponde il sindaco Roman Lanz alle preoccupazioni degli abitanti? Li capisce perfettamente. «Ci sono famiglie che vivono qui da tre generazioni, alcuni non hanno mai lasciato Mitholz.» Sfollarli ora è qualcosa di incredibilmente difficile, confida. «Nel prossimo futuro dovremo fare di tutto per trovare delle soluzioni qui.»
Il timore di vedere Mitholz diventare un paese fantasma esiste anche per il sindaco. «Faremo tutto il possibile perché il paese possa essere ripopolato dopo l’evacuazione.» Se un quinto di un comune svanisce, si sconvolge tutto, spiega.
«Eh sì, abbiamo molto lavoro da fare», ammette il sindaco.