Svizzera-UEFine dell'accordo quadro, il presidente dell'ETH: «Un esperimento pericoloso»
ns, ats
4.2.2022 - 10:47
Si susseguono gli appelli del mondo della scienza a favore di una rapida reintegrazione della Svizzera nel programma europeo Horizon.
Keystone-SDA, ns, ats
04.02.2022, 10:47
04.02.2022, 11:00
SDA
Stando al presidente del Politecnico federale di Zurigo (ETH), Joël Mesot, l'abbandono delle trattative su un accordo quadro istituzionale con l'Ue per la ricerca rappresenta «un esperimento pericoloso e inutile».
In un clima di generale subbuglio tra rappresentanti delle alte scuole e dell'industria vicina alla ricerca scientifica, oggi Mesot ha scelto la Neue Zürcher Zeitung (NZZ) come megafono per allertare su una presunta perdita della «forza d'innovazione» elvetica.
L'Ue intende promuovere la ricerca e l'innovazione con un totale di 95,5 miliardi di euro (99,6 miliardi di franchi al cambio attuale) fino al 2027. La Svizzera ne è largamente esclusa dopo che i negoziati sull'accordo quadro si sono interrotti nel maggio dello scorso anno. Ora è solo un paese terzo associato, mentre prima era un membro a pieno titolo.
«La scienza è questione di connessioni. Il solo ETH ha più di 9000 contatti in tutto il mondo, più della metà dei quali nell'area dell'Ue, il nostro habitat naturale. Una cosa del genere non si crea in pochi anni, ci vogliono decenni. Ora potremmo perderla, brutalmente», dice Mesot in un'intervista alla NZZ.
Non contano solo i soldi
«Attualmente siamo ancora in grado di attrarre le menti più brillanti. Ma è cruciale per i migliori ricercatori poter partecipare ai grandi programmi di collaborazione di Horizon Europe», afferma il fisico, specialista in spettroscopia laser di fotoemissione risolta in angolo (ARPES).
Un ricercatore non viene all'ETH «solo per una questione di soldi (...). Viene per la nostra reputazione, per l'accesso ai fondi e alle reti di ricerca europee. E perché la Svizzera è riuscita finora a riunire qui una massa critica di ricercatori. Son tutte queste cose che rendono la Svizzera così attraente come luogo di ricerca», insiste il 57enne.
Collaborazioni obbligatorie con l'Europa
Inoltre va tenuto conto del fatto che le collaborazioni scientifiche in determinati ambiti sono per loro natura rivolte all'Europa, e non potranno essere rimpiazzate con legami più stretti con i mondi universitari statunitense e asiatico.
«Le nostre maggiori sfide sono lo stoccaggio dell'energia e la stabilità della rete. Non risolveremo certo questi problemi con gli Stati Uniti o con l'Asia. Questo può essere fatto solo con i nostri vicini. La medicina è un altro esempio. Il coronavirus ci ha mostrato quanto la crisi sia affrontata a livello regionale. La politica sanitaria in Asia è completamente diversa dalla nostra. Dobbiamo anche prendere in considerazione questi aspetti regionali. Dimostrano quanto sia importante essere in rete in Europa», sottolinea il fisico.
Mesot non risparmia critiche a Ue
Le alte scuole elvetiche sono state confrontate agli stessi problemi di esclusione dai programmi europei dopo l'accettazione, nel 2014, dell'iniziativa «Contro l'immigrazione di massa», ma per finire senza grosse conseguenze, fa notare il giornalista. Mesot sottolinea dapprima che allora, dopo un anno, tutto era tornato come prima con una ricerca elvetica di nuovo integrata all'Ue.
Poi ricorda che le conseguenze di quella breve esclusione però «si vedono ancora oggi»: ricercatori alla guida di progetti avevano perso da un giorno all'altro il loro ruolo e non l'hanno più recuperato. «Una volta che sei via, non torni così facilmente ai vertici».
Per il presidente dell'ETH il collegamento «politico» che Bruxelles fa tra abbandono da parte svizzera delle trattative per l'accordo quadro e la riduzione della Confederazione a stato terzo in materia scientifica è «infelice». Il «collegamento politico» serve «per aumentare la pressione. Però non è mai una buona idea prendere la scienza in ostaggio. Alla fine, non ne patisce solo la Svizzera, ma anche l'Ue, perché abbiamo una ricerca all'avanguardia da offrire».