IntervistaTutankhamon attira migliaia di visitatori a Zurigo
Jennifer Furer
10.8.2020
L’esposizione dedicata a Tutankhamon batte tutti i record. Durante quest’intervista, lo storico Wolfgang Wettengel ci spiega dove si trova la vera mummia, perché non è stata esposta e di cosa potrebbe essere morto il faraone all’età di 18 anni.
Più di 6,5 milioni di persone hanno visitato l’esposizione «Tutankhamon: la sua tomba e i suoi tesori» dal 2008. La success story è cominciata a Zurigo. Dodici anni dopo, la mostra ritorna in Svizzera. La ricostruzione della tomba del faraone Tutankhamon, morto all’età di 18 anni, è esposta dal 10 luglio al primo novembre alla Halle 622 di Zurigo, nel quartiere di Oerlikon.
Wolfgang Wettengel
Wolfgang Wettengel ha studiato egittologia, etnologia e storia medievale all’università Louis-et-Maximilien di Monaco di Baviera. Dal 2006, è direttore scientifico del progetto espositivo dedicato a Tutankhamon. È responsabile della ricostruzione delle camere funerarie di Tutankhamon e di Sennedjem – artigiano dei faraoni che è vissuto all’epoca di Ramses II –, minacciate dal turismo.
Wolfgang Wettengel, direttore scientifico dell’esposizione dedicata a Tutankhamon, parla di una felice coincidenza. In un’intervista concessa a «Bluewin», lo storico tedesco spiega perché ha fatto ricostruire la tomba di Tutankhamon più di dieci anni fa e per quale ragione non sia possibile mostrare l’originale.
Signor Wettengel, lei è il direttore scientifico del progetto espositivo dedicato a Tutankhamon dal 2006. Come ci si può occupare tanto a lungo di un faraone egiziano vissuto solo 18 anni?
È la missione di tutta una vita. Perché ci sono sempre nuove teorie e nuove ricerche. La varietà e la profondità culturale e storica delle scoperte provenienti dalla tomba di Tutankhamon sono immense. L’epoca nella quale è vissuto è estremamente appassionante – in particolare perché è piena di contraddizioni.
La fine della XVIII dinastia è un periodo di crisi. Il re eretico Akhenaton, il padre di Tutankhamon, ha avviato una fase di sconvolgimenti sociali, una rivoluzione sociale e religiosa. Ha spodestato le divinità tradizionali dal trono e ha introdotto una divinità universale: Aton, il dio sole. Tutte le antiche divinità sono state escluse dal pantheon degli egiziani. Allo stesso modo, i ruoli tradizionali del clero e degli alti responsabili sono cambiati. Tutto un paese si è ritrovato sottosopra. Dopo la sua ascesa al trono, Tutankhamon ha dovuto placare la tempesta.
Ci è riuscito?
Sì, ha apportato una certa stabilità, per esempio limitando il culto del dio Aton e ristabilendo le condizioni anteriori alla rivoluzione di Akhenaton. Ciò si nota anche nel cambiamento di nome in Tutankhamon dopo la sua ascesa al trono. In origine, si chiamava Tutankhaton.
Tutankhamon è vissuto per soli 18 anni. Di cosa è morto?
Questo non è stato ancora interamente chiarito. La mummia ha permesso di scoprire diverse cose: da una parte, che Tutankhamon ha sofferto di malaria. Questa malattia di fatto non è mortale. Gli egiziani avevano l’abitudine di conviverci. D’altra parte, Tutankhamon ha subito una frattura aperta al di sopra del ginocchio della gamba sinistra. Probabilmente ne ha sofferto atrocemente. Nel mondo scientifico, è molto diffusa l’opinione secondo la quale la frattura e l’infezione che ne è derivata siano state all’origine della sua morte.
Su cosa si fondano queste conclusioni?
La mummia di Tutankhamon è stata minuziosamente esaminata dalla comunità scientifica – per esempio è stata oggetto di analisi di DNA e di scanner.
Come possiamo avere la certezza che la frattura si sia prodotta quando Tutankhamon era ancora in vita – e non durante il trasporto o il recupero della mummia?
La comunità scientifica ne è piuttosto sicura, perché all’interno della frattura è stato scoperto del liquido di imbalsamazione. In precedenza, si era diffusa una teoria secondo la quale il faraone sarebbe stato assassinato, perché nella sua testa erano stati ritrovati dei frammenti ossei. Questa teoria è tuttavia stata rifiutata, perché tali frammenti risalgono quasi certamente a una data seguente alla morte di Tutankhamon.
Durante lo spostamento della mummia e l’interpretazione delle conclusioni è necessaria dunque una grande prudenza.
Sì, per valutare le scoperte archeologiche dobbiamo sempre tener conto di tutte le circostanze. Quando abbiamo voluto esaminare la mummia, essa aderiva così fortemente al fondo del sarcofago che al momento dell'estrazione si è rotta in diversi pezzi. Nel corso dell’esame, si è scoperto che le sue costole erano state tagliate o rotte. Ancora oggi, c’è un dibattito riguardo il fatto se ciò si sia verificato durante il recupero della mummia o, per esempio, durante un saccheggio della tomba dopo la sua scoperta.
Nell’esposizione «Tutankhamon: la sua tomba e i suoi tesori», molti oggetti non sono originali. Le casse e i sarcofagi sono per esempio delle copie. Perché?
Se avessimo utilizzato gli originali per l’esposizione, avrebbero subito danni importanti. Dovete immaginare che le casse sono strutture in legno composte di stucco e di rilievi dorati. Tutti questi materiali si deteriorano. Nel corso dei millenni, sono apparse diverse crepe e fessure. In particolare quando gli oggetti si trovavano al museo del Cairo. Non c’era climatizzazione. Le fluttuazioni di temperatura hanno semplicemente fatto staccare dei frammenti d’oro e di stucco.
C’è un’altra ragione?
Riproducendo gli oggetti, possiamo mostrarli diverse volte e in diversi contesti. Il visitatore li vede innanzitutto così come li ha trovati Howard Carter nelle camere mortuarie e rivive così il momento appassionante della scoperta. Gli stessi oggetti vengono in seguito esposti individualmente – e sono dunque accessibili per un esame più approfondito.
Come si svolge la ricostruzione di questi oggetti?
Quando è nata l’idea di ricostruire le scoperte archeologiche, non pensavo che fosse possibile. Ma mi hanno dato torto. Ci sono alcuni egiziani che sono capaci di riprodurre oggetti d’arte fedeli agli originali, utilizzando in parte la stessa tecnica artigianale dei loro antenati. Si tratta di persone che hanno una memoria visiva molto sviluppata.
Chi ha realizzato le copie che sono oggi esposte a Zurigo?
Un artista ed egittologo che possiede il proprio laboratorio in Egitto da numerosi anni. Era un progetto di vasta portata, vi ha lavorato freneticamente, giorno e notte. Ha riflettuto sui materiali che si prestavano a una riproduzione. Alcuni elementi scoperti erano in oro puro. Riprodurli in maniera identica era impensabile, non fosse altro che per una ragione di costo. Ha dunque utilizzato del metallo e ha reso dorati gli elementi attraverso la galvanostegia.
Tutto ciò deve essere comunque costato caro.
Alcuni milioni di franchi.
Dove si trovano i sarcofagi autentici, oltre che la mummia di Tutankhamon?
In diversi luoghi. La mummia si trova nella Valle dei Re, nella camera funeraria d’origine, in una vetrina climatizzata. I sarcofagi invece sono al museo del Cairo. Questo è d'altronde quello che rende la nostra mostra straordinaria: abbiamo riunito la tomba e i suoi tesori e li abbiamo esposti in un unico luogo.
Come ricercatore, quali altri elementi ancora inesplorati vorrebbe conoscere su Tutankhamon?
Restano molte zone d’ombra. Le ricerche su Tutankhamon, la sua vita e l’epoca nella quale è vissuto sono ben lontane dall’essere concluse. Per esempio, ignoriamo l’atmosfera negli anni tra la morte di Akhenaton e l’ascesa al potere del figlio Tutankhamon. E anche dopo la morte di Tutankhamon, molte cose sono ancora poco chiare.
Per esempio?
In una lettera, una regina d’Egitto si rivolge al grande re ittita Šuppiluliuma I. Questa lettera sarebbe stata scritta da Ankhesenamon, la moglie di Tutankhamon. L’autrice lo supplica di inviare in Egitto un principe ittita destinato a salire al trono. Tutankhamon non aveva figli – e dunque non c’era un successore reale.
Cosa sarebbe successo dunque?
Un principe ittita sarebbe partito per l’Egitto. Ma non ci è mai arrivato. Le cause – così come tante cose nella storia – non sono conosciute con esattezza. Šuppiluliuma I sospettava che gli egiziani l’avessero assassinato. Alla fine, uno di loro è diventato faraone: Ay.
Non è frustrante nel proprio lavoro avere uno sguardo sempre rivolto al passato?
L’archeologia egiziana offre tanti spunti appassionanti e storie interessanti sulle quali mi piacerebbe soffermarmi in futuro e che vorrei mettere in luce ed esplorare.
Quali?
Per esempio, la storia della scoperta della mummia di Tutankhamon e la biografia di Howard Carter, che dirigeva gli scavi. Quest’ultimo era in effetti un artista; nel 1891, all’età di 17 anni, è partito da solo per l’Egitto con l’obiettivo di diventare disegnatore archeologico. È diventato ispettore generale dei monumenti nell’Alto Egitto. Ma in seguito è stato condotto al Cairo, dove è diventato ispettore generale dei monumenti del Basso Egitto. Mentre rivestiva questi incarichi ha avuto un litigio con un gruppo di turisti francesi.
Cosa è successo dopo?
Il suo capo gli ha ordinato di scusarsi. Ritenendo che non avesse colpe, si è opposto. Howard Carter ha dato le dimissioni. Nel 1905, era di ritorno al punto di partenza. Due anni dopo, ha incontrato un ricco inglese, Lord Carnarvon, che ha finanziato il suo progetto di scavi. A partire dal 1917, Howard Carter si è prefissato l’obiettivo di ritrovare la tomba del faraone scomparso Tutankhamon. Ci ha messo cinque anni per scoprirla.
Ci sono dunque molta storia e molte questioni sociali dietro il ritrovamento della mummia di Tutankhamon. Tuttavia, non è deprimente studiare la morte di un ragazzo di 18 anni?
La questione del destino umano si pone per tutti. La questione Il punto è sapere come affrontarla. Anche gli egiziani erano spaventati dalla morte, sebbene credessero che ci fosse una vita dopo di essa. Gli egiziani apprezzavano la vita – e volevano portare con sé nel regno dei morti il contributo individuale che avevano portato nel corso della loro esistenza.
A titolo personale, lei crede nella vita dopo la morte?
Risulta evidente che l'approccio a questo tema dipende dal proprio modo di pensare. Tuttavia, sono scettico – come molti egiziani dell’epoca, d’altronde. Pensavano già che nessuno potesse testimoniare l’esistenza della vita dopo la morte. Dopotutto, nessuno è tornato da quel viaggio.
Le sarebbe piaciuto vivere nel passato?
In un certo senso sì – ma in definitiva, no. Principalmente per via del livello attuale della medicina. Persino i grandi faraoni sono morti a causa di disturbi insignificanti, come problemi dentali. Si poteva morire in seguito a una perforazione della mascella. Noi oggi siamo al riparo da queste cose.
Lei preferirebbe dunque avere una macchina del tempo per fare andata e ritorno?
(Risate.) Sarebbe l’ideale, evidentemente.
Gli egiziani credevano che l’anima potesse ritornare nel corpo. Ma per questo, era necessario che il corpo fosse intatto. Non è questo il caso della mummia di Tutankhamon. E anche la ricerca ha contribuito a questa situazione. Ci manca forse un po' di rispetto nei confronti di questi tesori archeologici?
In archeologia, la questione è presente ed è importante porsela. Gli archeologi sono naturalmente interessati dall’acquisizione di conoscenze e vogliono proporre degli approfondimenti più minuziosi possibile delle strutture e degli eventi del passato, da cui possiamo ancora oggi trarre informazioni e insegnamenti. In compenso, il saccheggio delle tombe è sfortunatamente un fatto consolidato – e avveniva già nell’Antichità. Grazie al proprio lavoro, gli scienziati salvaguardano e proteggono le scoperte importanti.
Tutankhamon affascina ai quattro angoli del mondo. L’esposizione a lui dedicata ha già attirato 6,5 milioni di visitatori nel mondo dal 2008. Perché ha tanto successo?
Ci sono diverse ragioni al riguardo. Innanzitutto, il tema dell’Egitto interessa molto le persone. Non c’è un’esposizione dedicata a questo argomento che non susciti interesse. Anche il culto nei confronti della figura di Tutankhamon è impressionante e le storie che si nascondono dietro la sua vita affascinano la gente. In più, l’esposizione è unica – e dà un impulso all’archeologia egiziana come mai prima d’ora.
L’esposizione è stata inaugurata a Zurigo nel 2008. Come è diventata una success story internazionale?
Vi hanno contribuito le eco positive dei visitatori, ma anche degli esperti. La «Neue Zürcher Zeitung» ha per esempio inviato l’egittologo nonché rettore dell’università di Basilea all’esposizione e gli ha chiesto cosa ne pensasse. Lui è rimasto incantato da questa nuova maniera di presentare le scoperte archeologiche nel loro contesto e di raccontare la loro storia in maniera esaustiva.
Nella nostra società attuale, molti contenuti ormai assumono una forma digitale. L’attenzione è limitata. In quale misura un’esposizione deve reagire a questa evoluzione e come può restare attraente?
Lavoriamo continuamente su nuove forme di esposizione e di narrazione. Nei filmati oltre che nelle nuove audioguide multilingue: sono tutti elementi che aggiorniamo e ottimizziamo. Inoltre, ci sono sempre delle nuove scoperte o a volte delle teorie che vengono nuovamente accantonate. Teniamo in considerazione anche questo.
L’esposizione si svolge in uno spazio chiuso. Come è fattibile, in tempo di emergenza coronavirus?
La situazione attuale ci obbliga ad essere cauti, non possiamo accelerare come vorremmo. Dobbiamo fare attenzione a che non si formi alcun assembramento e che l’esposizione sia regolamentata a scaglioni. Ma è una sfida da superare...
Dove approderà in seguito l’esposizione?
Resta a Zurigo fino al primo novembre, poi l’anno prossimo sarà a Mannheim. In effetti, l’esposizione avrebbe dovuto già essere presentata a fine maggio a Mannheim.
Perché non è stato possibile?
È stata annullata per via del coronavirus. Gli organizzatori ci hanno dunque contattati per chiederci se l’esposizione poteva aver luogo a Zurigo invece che lì. In un certo senso, ciò permette di chiudere il cerchio: il progetto ha debuttato 12 anni fa a Zurigo e ora siamo di ritorno qui.
È previsto un passaggio dell’esposizione in Egitto?
Ci abbiamo pensato, sì. Ma non è per il momento all’ordine del giorno, in particolare a causa della situazione tesa nel paese. Ma se un giorno l’esposizione dovesse finire, penseremmo certamente di chiuderla in Egitto.