PandemiaUn anno di Covid-19: tutto quello che ancora non sappiamo
tafi
2.1.2021
Il nuovo coronavirus, battezzato col nome Covid-19, «festeggia» il suo primo compleanno – e alcuni vaccini lo stanno già combattendo. Anche se la scienza raramente aveva agito in modo così rapido ed efficace, non tutti i misteri sono stati chiariti, anzi.
È passato quasi un anno esatto da quando la Cina ha segnalato all'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) la comparsa di un «misterioso nuovo ceppo di polmonite». A partire dal 31 dicembre 2019, il coronavirus non solo ha infettato più di 80 milioni di persone nel mondo, ma ha anche paralizzato molti settori della vita sociale a tempo di record.
Misure di confinamento, limitazioni dei contatti, chiusura delle frontiere, divieto di viaggiare, crisi economiche – tra le attività che davamo per scontate, la pandemia ha creato enormi disastri in pochissimo tempo.
A sua volta, anche la scienza si è mossa a tempo di record. All'inizio del 2020 in due settimane un gruppo di scienziati cinesi ha identificato il virus e ne ha decifrato il codice genetico. Tre settimane dopo sono stati distribuiti i primi kit per i test e poco più di 11 mesi dopo, nel mondo occidentale, sono stati somministrati i primi vaccini. Mai prima d'ora un vaccino era stato sviluppato tanto velocemente quanto quello contro il SARS-CoV-2.
«Abbiamo imparato moltissimo» sul virus in poco tempo, sintetizza Maureen Ferran del Rochester Institute of Technology, intervistata dalla CNN. Tuttavia, la docente di biologia sa che resta «molta strada da fare per poter comprendere il virus nei minimi dettagli». Secondo Maureen Ferran, i virologi e i sanitari potrebbero avere ancora decenni di lavoro davanti a loro. In realtà sono i principi di base che non sono ancora stati identificati chiaramente. Ecco alcune ancora domande senza risposta.
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Come e dove è comparso il virus?
La questione relativa all'origine del virus è ormai completamente sparita dalla sfera pubblica. Gli scienziati sono d'accordo solo su alcuni punti fondamentali: il SARS-CoV-2 appartiene a un tipo di virus responsabile sia delle normali influenze sia del SARS. È anche dato per certo che il virus è passato dall'animale all'uomo. La malattia da coronavirus (COVID-19) è quindi zoonotica e si sospetta che il pipistrello sia stato il primo ospite.
È ampiamente accettato che il punto di diffusione della pandemia sia stato un mercato dove si vendevano animali vivi nella città cinese di Wuhan. Alcuni studi, però, hanno fornito prove secondo cui il virus potrebbe essere stato in circolazione negli Stati uniti e in Europa diversi mesi prima di quanto si pensasse inizialmente.
Non è ancora chiaro, però, dove e quando il virus sia arrivato all'uomo, né se sia stato trasmesso da un altro ospite intermedio, come il pangolino o lo zibetto. «Sono domande per le quali forse non avremo mai una risposta», afferma Maureen Ferran. Dopo tutto, a più di quarant'anni dalla scoperta di Ebola, gli scienziati non sono ancora in grado di determinare con certezza da quale animale provenga il virus.
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Perché esistono forme di diversa gravità?
All'inizio si era pensato che il COVID-19 fosse uan malattia respiratoria ma, con il passare del tempo, sono stati scoperti altri sintomi e complicazioni. Molti pazienti perdono l'olfatto, altri soffrono di vomito o diarrea, altri ancora lamentano colorazioni anomale delle dita di mani o piedi. Talvolta si manifestano anche disturbi della percezione o lesioni cerebrali.
Alcune persone soffrono di effetti tardivi che durano diversi mesi dopo l'attenuazione della sintomatologia acuta. «A questo proposito ci sono ancora pochi dati - e soprattutto mancano studi sistematici a lungo termine», afferma la neurologa tedesca Kathrin Reetz della clinica neurologica della Scuola superiore politecnica di Renania-Vestfalia di Aix-la-Chapelle. Si sa solo che le relazioni sulle conseguenze a lungo termine dell'infezione da coronavirus si moltiplicano.
Non è chiaro nemmeno perché alcune persone infettate restino completamente asintomatiche mentre altre abbiano bisogno di terapie e cure intensive. Recentemente si è molto parlato di un caso italiano: quello di due fratelli gemelli che avevano contratto il COVID-19. Mentre uno dei due sessantenni è stato dimesso dall'ospedale senza complicazioni, l'altro ha avuto bisogno del ventilatore polmonare.
Questo caso illustra chiaramente l'incognita di fronte alla quale si trovano i ricercatori. «Per ragioni che non capiamo del tutto, alcune persone rispondono all'infezione meglio di altre», spiega Peter Collignon, docente di microbiologia all'Università nazionale australiana, intervistato dalla CNN. La gravità degli effetti del coronavirus sull'uomo sembra, in una certa misura, legata al caso. È certo solo che il rischio di contrarre una forma grave cresce all'aumentare delle patologie preesistenti e dell'età.
Come ammette Peter Collignon, il mondo scientifico non sa ancora perché, per esempio, il tasso di mortalità nelle persone anziane è sensibilmente più alto per il coronavirus che per l'influenza. «Abbiamo i dati e sappiamo che è così […] ma non credo che abbiamo tutte le risposte.»
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Come si diffonde il coronavirus?
Nel gennaio scorso la Cina ha confermato che il virus poteva trasmettersi da una persona all'altra. Un anno dopo, prosegue il dibattito su come questo possa avvenire esattamente.
Gli studiosi sostengono che il virus si diffonde principalmente attraverso le goccioline che una persona emette quando tossisce o starnutisce. Queste cadono a terra uno o due metri più lontano e le mascherine possono aiutare ad impedire la loro propagazione. Anche l'aerosol, composto da particelle molto più piccole che possono restare in sospensione nell'aria per ore e percorrere grandi distanze, gioca un ruolo nella diffusione del virus.
La domanda su quale dose di Covid-19 sia necessaria affinché una persona venga infettata resta senza risposta. Non è chiaro nemmeno in quale misura i bambini contribuiscano alla diffusione del virus.
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Per quanto tempo una persona è immunizzata dopo aver contratto il virus?
Nel caso di molte malattie infettive, accade che, una volta guarito, il paziente è protetto dall'agente patogeno per un certo periodo. Nel caso del Covid-19, le ricerche su questo punto sono molte, ma non ci sono risultati chiari. In ottobre, una rivista del settore ha riportato il caso di un venticinquenne statunitense che era stato infettato due volte nell'arco di sei settimane e si era ammalato due volte.
Secondo Peter Collignon, però, la buona notizia è che «è un evento talmente raro che è stato riportato su una rivista scientifica». Il 99% circa delle persone infettate è immune per almeno sei mesi, afferma Collignon.
Ma resta una domanda importante: quanto tempo dura l'immunità naturale contro il virus? La scienza non può ancora dare una risposta, semplicemente perché il virus è ancora molto nuovo.
Anche con il vaccino, non è chiaro esattamente quanto durerà l'immunità. I vaccini dovrebbero garantire una certa protezione per alcuni anni, «ma il fatto è che non lo sappiamo ancora», ammette Peter Collignon. Per il momento comunque i vaccini contro il coronavirus sembrerebbero essere più efficaci di quelli antinfluenzali, che devono essere somministrati ogni anno.
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Quando finirà la pandemia?
Nessuno ha una risposta alla grande domanda. Anche se il vaccino fa nascere la speranza di frenare la diffusione del coronavirus, non c'è nulla di certo. Per prima cosa, ci vorrebbero anni per vaccinare la maggior parte della popolazione mondiale. Secondo, in Svizzera, come altrove, la volontà di farsi vaccinare non è particolarmente forte; solo poco più di un terzo dei cittadini desidera essere vaccinato il prima possibile. E terzo, come spiega Peter Collignon, nessun vaccino al mondo offre una copertura del 100%. Inoltre non si sa se le persone vaccinate possano continuare a diffondere il virus.
Nessuno sa nemmeno come il virus si evolverà in futuro: potrebbe mutare e diventare più virulento, come è avvenuto recentemente nel caso delle due varianti osservate in Gran Bretagna e Africa del Sud. Per Peter Collignon, adesso l'importante è trovare le risposte a tutte le domande che ancora restano aperte. Ma anche e soprattutto investire sulla ricerca di base.
Sono stati investiti miliardi di dollari nello sviluppo dei vaccini e delle terapie, ma è «impossibile ottenere fondi per fare ricerca su questioni come l'efficacia di una certa mascherina piuttosto che un'altra», sostiene Peter Collignon, aggiungendo che se la ricerca di base non può far sparire un problema urgente, è tuttavia importante per ridurre i rischi e prepararsi a future pandemie.