Alzheimer Alzheimer: alcuni farmaci per il diabete possono ridurre il rischio di contrarlo

Covermedia

18.10.2021 - 16:10

Le persone che assumono una terapia per tenere sotto controllo la glicemia, hanno un declino cognitivo più lento.

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Un nuovo studio ha dimostrato che alcuni farmaci per il diabete possono ridurre il rischio di contrarre l’Alzheimer.

I ricercatori hanno scoperto che le persone che assumevano inibitori della dipeptidil peptidasi-4, prescritti in genere alle persone con diabete di tipo 2, avevano meno amiloide nel cervello, un biomarcatore del morbo di Alzheimer, rispetto sia ai diabetici di tipo 2 che non assumono i farmaci, sia alle persone senza diabete.

«Le persone con diabete hanno dimostrato di avere un rischio più elevato di contrarre la malattia di Alzheimer, probabilmente a causa di alti livelli di zucchero nel sangue, che sono stati collegati all'accumulo di beta-amiloide nel cervello», ha detto l'autore dello studio Phil Hyu Lee, MD e PhD della Yonsei University College of Medicine di Seoul, Corea del Sud.

«Il nostro studio non solo ha mostrato che le persone che assumevano inibitori della dipeptidil peptidasi-4 per abbassare i livelli di zucchero nel sangue avevano meno amiloide nel cervello in generale, ma ha anche mostrato meno criticità nelle aree del cervello coinvolte nell’Alzheimer».

Lo studio, che ha coinvolto 282 partecipanti seguiti per un massimo di sei anni, ha poi riscontrato che le persone che assumevano questi farmaci, noti anche come gliptine, mostravano un declino cognitivo più lento rispetto alle persone degli altri due gruppi.

«I nostri risultati mostrano meno amiloide nel cervello delle persone che assumono questi farmaci e un minor declino cognitivo, rispetto alle persone senza diabete. Per questi aumenta la possibilità che questi farmaci possano essere utili anche per le persone senza diabete che hanno problemi di pensiero e di memoria», ha detto Lee.

«Sono necessarie ulteriori ricerche per dimostrare se questi farmaci possono avere proprietà neuroprotettive in tutte le persone».

Lo studio è stato pubblicato su Neurology, la rivista medica dell'American Academy of Neurology.