Bötschi domanda Ueli Baruffol, pioniere svizzero del mercato internazionale della frutta secca

Di Bruno Bötschi

22.10.2020

Nel 2006, Ueli Baruffol (foto) e Balz Strasser hanno importato il primo container di anacardi indiani in Svizzera. Così hanno lanciato la loro società consacrata alla frutta secca, nel rispetto del commercio equo.
Nel 2006, Ueli Baruffol (foto) e Balz Strasser hanno importato il primo container di anacardi indiani in Svizzera. Così hanno lanciato la loro società consacrata alla frutta secca, nel rispetto del commercio equo.
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Grazie a lui, la frutta secca biologica e solidale è stata accolta in Svizzera. Ueli Baruffol, fondatore della società Pakka, parla con noi di sostenibilità redditizia, dei suoi modelli, così come delle ragioni per le quali la sua iperattività a volte diventa un problema.

Sede di Pakka, Zurigo. 11 del mattino. Atmosfera da ufficio, dieci impiegati. Computer e carta, molta carta. E ancor più frutta secca. Un planisfero attaccato al muro. Il panorama sulla Prime Tower.

14 anni fa, l’agronomo Balz Strasser e l’ingegnere forestale Ueli Baruffol fondavano la società Pakka. Ai loro inizi, i due si occupavano soltanto di anacardi.

La frutta secca arriva via mare da ogni angolo della Terra. Quella venduta da Pakka è coltivata da piccoli agricoltori in India, Pakistan, Georgia, Bolivia, Kenya, Palestina, Costa d’Avorio, Colombia e Cina. Tutti i prodotti e gli ingredienti provengono dall’agricoltura biologica e dal commercio equo.

Ueli Baruffol è nato a Männedorf, nel 1975. Durante i suoi studi di ingegneria forestale all’ETH, si è concentrato nella cooperazione allo sviluppo e ha lavorato in Ecuador per un progetto di gestione sostenibile della foresta tropicale montana.

Signor Baruffol, oggi faremo un gioco di domande e risposte: nel corso dei prossimi 45 minuti, le porrò quante più domande possibile e il suo compito sarà di rispondere il più rapidamente e spontaneamente possibile. Se una domanda non le piace, dica semplicemente «la prossima».

Ho capito.

Männedorf o Bogotà?

Entrambe, immagino. A Männedorf, posso godermi la famiglia. Mentre a Bogotà, la capitale della Colombia, ho potuto far nascere numerosi progetti appassionanti in collaborazione con piccoli agricoltori. La Colombia è un po’ la mia seconda dimensione. Ci vivono anche alcune delle persone a me care.

Bruno Bötschi
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Il redattore di «Bluewin» Bruno Bötschi intervista regolarmente personalità famose con il gioco domanda-risposta «Bötschi fragt». Bötschi vanta notevole esperienza nelle interviste. Per la rivista «Schweizer Familie», ha seguito per molti anni la serie «Traumfänger». A tal proposito, ha posto a oltre 200 persone la domanda: Da bambini si hanno tanti sogni – se ne ricorda? Il libro della serie «Traumfänger» è uscito presso la casa editrice Applaus Verlag, Zurigo. È disponibile in libreria.

Beatrice Egli o Maluma?

Non conosco nessuno dei due.

Beatrice Egli è la cantante pop più popolare della Svizzera. Quanto a Maluma, è un cantante di reggaeton colombiano, che ha recentemente registrato alcuni pezzi con Madonna.

Ah, adesso mi sovviene qualcosa, almeno per quanto riguarda Maluma. Penso che i nostri figli lo ascoltino.

Redditività o umanità?

Umanità. Tuttavia, l’umanità non è duratura se non è redditizia. Deve incontrare un certo successo.

Il colore dei suoi occhi?

Marrone.

Il suo quoziente intellettivo?

Non ne ho idea.

La prima volta che ha guadagnato dei soldi?

A 16 anni, ho passato due settimane in una fabbrica nella quale si assemblavano filtri per l’acqua. I filtri sono stati in seguito spediti in Africa.

Il mestiere dei suoi genitori?

Papà bancario, mamma infermiera.

Quando le hanno detto l’ultima volta: «Stupido»?

Quando gioco a tennis. Capita che in campo vengano pronunciate espressioni colorite.

Chi ha la parolaccia facile: più lei o i suoi avversari?

Capita che per un errore sciocco insulti me stesso.

Qualche anno fa, la frutta secca non aveva una buona reputazione. Perché?

In tutta onestà, non saprei. La nostra famiglia ha sempre consumato molta frutta secca. Mia madre era ed è un’adepta di Max Bircher-Benner, il creatore del Muesli Bircher. Mi rivedo ancora, bambino sul triciclo, mentre mia madre mi dà un bicchiere pieno di nocciole, anacardi e mandorle per la merenda, mentre gli altri ragazzini avevano panini e barrette di cioccolato.

A lei non piace il cioccolato?

Certo che sì. Era la speranza di poter assaporarne un pezzo che mi portava spesso a fare merenda dai miei amici.

Oggi i suoi figli mangiano frutta secca per merenda?

Sì.

E cosa mangiano gli amici dei suoi figli?

Anche loro della frutta secca (ride).

Ueli Baruffol: «La nostra famiglia ha sempre consumato molta frutta secca. Mia madre era ed è un’adepta di Max Bircher-Benner, il creatore del Muesli Bircher».
Ueli Baruffol: «La nostra famiglia ha sempre consumato molta frutta secca. Mia madre era ed è un’adepta di Max Bircher-Benner, il creatore del Muesli Bircher».
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Qualche anno fa, uno studio statunitense ha tranquillizzato i consumatori: la cattiva reputazione delle noccioline è infondata. Si tratta semplicemente di non esagerare.

Qualunque cibo deve essere consumato con moderazione. Le noccioline sono state al centro di discussioni per via del loro potenziale allergizzante relativamente elevato.

Secondo la Fondazione europea per la ricerca sulle allergie, l’1,4% degli europei soffre di allergia alla frutta secca. Si tratta di un valore in linea con gli altri alimenti?

Non lo so. Però posso dirle che è l’arachide il frutto secco che presenta il maggiore potenziale allergizzante. Gli anacardi, che sono largamente in testa nelle nostre vendite, non provocano alcuna allergia.

La parola «Pakka» significa «ben fatto» nella lingua hindi…

... e anche «buono, solido, integro».

Cosa ha fatto di buono oggi?

Mi sono alzato presto e ho preso il treno per andare in ufficio. Inoltre, finora, mi sono alimentato in modo piuttosto sano.

E cosa ha fatto di meno buono oggi?

Appena arrivato in ufficio, ho divorato un pacchetto di mandorle al cioccolato. Mi sentivo un po’ debole.

Perché?

Ieri sera ho giocato tre ore a tennis. Mi ha tolto ogni energia.

Nel 2006, ha fondato la società Pakka con Balz Strasser. Da allora, importa in Svizzera frutta secca e spezie biologiche e solidali. Come ha cominciato?

Provengo da una famiglia nella quale lo spirito imprenditoriale è forte. Da bambino, la maggior parte delle volte, non capivo nulla di ciò che dicevano i miei genitori a tavola. Ma un giorno, i pezzi del puzzle si sono assemblati e ho capito cosa ne veniva fuori. Così è nata la mia passione. Quando Balz Strasser è venuto a trovarmi, alcuni anni dopo, parlandomi del progetto di importare in Svizzera anacardi provenienti da piccoli coltivatori indiani, sono stato subito sedotto dall’idea. Esattamente come la sostenibilità, il cibo mi ha sempre affascinato. Tuttavia, non avevo avuto ancora molto a che fare con la frutta secca, a parte per la merenda preparata da mia madre. Allora ho avuto voglia di lanciarmi in un’iniziativa che fosse mia. Inoltre, un soggiorno in Ecuador nel 1999 mi ha influenzato profondamente. Ho passato parecchi mesi a lavorare nell’ambito di un progetto di gestione sostenibile della foresta tropicale montana. All’epoca, fui colpito dal fatto che la ONG collaborava con gli agricoltori al fine di creare delle imprese locali e garantirne la sostenibilità.

Qual è stata la reazione dei suoi genitori?

Ci hanno subito sostenuti. In particolare da un punto di vista finanziario. È chiaro che Balz e io abbiamo saputo vendere bene la nostra idea.

Per quanto riguarda i complimenti di suo padre per il lavoro, quale non dimenticherà mai?

Non mi ricordo un particolare elogio. Tuttavia, i miei genitori hanno sempre mostrato molto entusiasmo. Penso che siano fieri di ciò che abbiamo realizzato finora con la società Pakka.

Apparire un po’ povero fa parte del look di un imprenditore sostenibile?

No, non credo.

Quanti completi possiede?

Ho due completi appesi in un armadio. Da 20 anni non ne indosso uno.

Perché li ha comprati?

Dopo gli studi, ho lavorato per poco tempo per un istituto di ricerca, quindi per due anni in una società di consulenza. In quel periodo, mi capitava di dover indossare un completo.

Ueli Baruffol: «Ho avuto voglia di lanciarmi in un’iniziativa che fosse mia. Inoltre, un soggiorno in Ecuador nel 1999 mi ha influenzato profondamente. Ho passato parecchi mesi a lavorare nel quadro di un progetto di gestione sostenibile della foresta tropicale montana».
Ueli Baruffol: «Ho avuto voglia di lanciarmi in un’iniziativa che fosse mia. Inoltre, un soggiorno in Ecuador nel 1999 mi ha influenzato profondamente. Ho passato parecchi mesi a lavorare nel quadro di un progetto di gestione sostenibile della foresta tropicale montana».
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Il suo modello?

Tomy e Seepja Mathew, i nostri partner indiani dall’inizio dell’avventura, sono i miei modelli in materia d’affari.

Perché i Mathews sono i suoi modelli?

I Mathews sono persone molto intelligenti, e al contempo molto socievoli. Tomy può collaborare con una piccola cooperativa di agricoltori o prendere la parola di fronte al Parlamento europeo: comunque difenderà la sua causa. Eccelle nella creazione di reti e ha saputo rimanere modesto. Chiunque impari a conoscerlo non può che restare impressionato dall’energia che emana. «Dignity instead of charity», ripete. La dignità piuttosto che la carità. Ed è un principio che difende giorno per giorno. Nonostante il loro successo, i Mathews condividono sempre un appartamento di tre locali con le loro due figlie.

Ha altri modelli?

Nello sport, Roger Federer. Ammiro anche mia zia Verena Baruffol che, grazie alla sua fondazione in Colombia, ha garantito un futuro a molte persone che vivevano in strada. La sua organizzazione, Fulfesh, ha avviato tre progetti nel centro di Bogotà. L’obiettivo è di adottare dei modelli economici alternativi, nel quadro di un collettivo o di una cooperativa. Il suo approccio è imperniato sul sociale. Non cerca in alcun modo il profitto. Ormai, questa fondazione ha un centro culturale, un albergo e un ristorante.

Dal 2018 al 2019, ha vissuto in Colombia con i suoi figli e con sua moglie Daniela. Cosa spera di trarre dai suoi viaggi?

Pakka collabora attualmente con tre imprese in Colombia. Lavoriamo anche da molto tempo su un progetto di frutta secca biologica. Nel 2012, ho fondato un’impresa il cui obiettivo era di produrre il primo cioccolato biologico colombiano a partire da ingredienti locali. Inoltre, due anni fa, ho avviato una coltivazione di arachidi biologici, oltreché un progetto che punta a produrre anacardi bio, in stretta collaborazione con un partner commerciale situato in una delle regioni più povere della nazione. Negli ultimi anni, mi sono recato lì più volte all’anno. Dopo un cambiamento di direzione dell’impresa produttrice di cioccolato, ho deciso di avvicinarmi al progetto per un certo periodo. Inoltre, io e mia moglie desideriamo che i nostri figli conoscano una cultura differente.

La Colombia è considerata un feudo del commercio di stupefacenti…

È la verità, ma la Colombia è anche un Paese meraviglioso con dei paesaggi magnifici. Il suo popolo è fantastico e il potenziale enorme.

Che tipo di potenziale?

Si tratta di un potenziale molto diversificato. Nel mio caso, a interessarmi è quello agricolo. In Colombia esistono immense superfici non coltivate da decenni a causa dei conflitti che imperversano nel Paese.

Ma a parte questo, cosa si aspetta dai suoi viaggi?

Del relax. È un po’ che non viaggio più come un turista qualsiasi. Infatti, nel corso dei miei viaggi, mi dedico spesso a visitare progetti appassionanti che riguardano la frutta secca.

I suoi figli non sono delusi dal fatto che il loro papà lavora costantemente durante le vacanze?

Ovviamente mi concedo anche delle vacanze normali in compagnia della mia famiglia. Dato che sono spesso all’estero per affari, queste vacanze il più delle volte sono in Svizzera, con grande disappunto dei nostri figli. Di recente, mia figlia mi aveva detto che avrebbe voluto rivedere il mare.

E dunque? Ci siete andati?

Sì.

C’è un viaggio che per lei è un rito?

Non un rito ma una tradizione: la nostra famiglia trascorre le vacanze invernali a Brigels, nei Grigioni. E questo da 40 anni.

Ha già immaginato di emigrare?

Posso immaginarmi a passare un altro anno all’estero con la mia famiglia. Tuttavia, non tradirò le aspettative che mia moglie e io condividiamo sul nostro avvenire, quando i figli saranno grandi e saranno andati via di casa.

Ueli Baruffol: «Tomy (terzo a partire da destra nella foto) può collaborare con una piccola cooperativa di agricoltori o prendere la parola di fronte al Parlamento europeo: comunque difenderà la sua causa. Eccelle nella creazione di reti e ha saputo rimanere modesto. Chiunque impari a conoscerlo non può che restare impressionato dall’energia che emana».
Ueli Baruffol: «Tomy (terzo a partire da destra nella foto) può collaborare con una piccola cooperativa di agricoltori o prendere la parola di fronte al Parlamento europeo: comunque difenderà la sua causa. Eccelle nella creazione di reti e ha saputo rimanere modesto. Chiunque impari a conoscerlo non può che restare impressionato dall’energia che emana».
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All’estero, quando incontrate degli svizzeri, avete nostalgia?

No, ma la mia famiglia mi manca durante i viaggi lunghi.

Quali alimenti svizzeri le danno una sensazione di casa?

Mi piacciono il cioccolato nero e l’Emmental.

Come vengono spedite in Svizzera la sua frutta secca e le spezie?

Via mare.

Grandi tragitti sono sinonimo di grande impatto ecologico. È una cosa che la preoccupa?

No. I miei viaggi sono legati alla mia professione. Sono anche intimamente convinto che i nostri progetti compensino abbondantemente le nostre emissioni di CO2. Ad esempio, ogni anno, piantiamo 300 ettari di alberi di anacardio in Colombia.

Per mesi, la pandemia di Covid-19 ha reso difficili i viaggi. L’epidemia ha avuto un impatto sulla sua impresa?

Durante il lockdown, il nostro fatturato relativo ai prodotti venduti nel settore della ristorazione è crollato. Fortunatamente, siamo stati in grado di compensare la maggior parte delle perdite grazie al commercio al dettaglio.

La pandemia cambierà la nostra società? Se sì, in che modo?

Sono convinto del fatto che le persone adotteranno consumi più riflettuti in futuro. In questi ultimi mesi e settimane, molti svizzeri si sono resi conto che il loro Paese si presta meravigliosamente bene alle vacanze. Non è sempre necessario decollare per godere delle ferie. Al contrario, penso che il coronavirus alimenti i timori dei cittadini. Spero che questo malessere non paralizzi troppo la nostra società negli anni a venire.

Ha scaricato l’applicazione Covid-19?

Sì.

È attiva?

Certo.

Improvvisamente, qual è lo stato della dignità umana nell’autunno del 2020?

Il coronavirus ha fornito all’umanità un nemico comune. Certo, sono emersi molti problemi, ma la pandemia rappresenta anche l’avvento di una migliore comprensione reciproca. Malgrado tutte le difficoltà di questi ultimi mesi, non lascerò che la mia positività si blocchi.

Cosa teme di più?

Tendo a lavorare su più fronti allo stesso momento. Questo lato del mio carattere mi porta a volte ad essere fonte di stress per chi mi sta accanto, in particolare i miei figli e mia moglie. Quest’ultima deve perciò frenarmi ogni tanto, anche se è fiera delle mie attività. Oso sperare che in futuro potrò porre un freno alla mia iperattività e non essere più fonte di stress per chi mi è vicino.

Magari una pasticca di Ritalin, ogni tanto…

Il tennis mi concede una distrazione (ride).

A quando risale l’ultimo momento in cui è stato contento di ignorare qualcosa?

I nostri figli hanno 10, 12 e 15 anni. Vederli conquistare la loro indipendenza è meraviglioso. Adoro quando mi spiegano cose che non so, e capita sempre più di frequente.

È a favore di un reddito di base universale?

È un’idea affascinante. Credo che andrebbe provata.

Lei lavora con dei produttori in India, Africa e America del Sud. Si ritiene più un lavoratore umanitario o un manager tenace?

A metà tra i due.

Il mondo sarebbe un posto migliore se tutte le imprese adottassero il modello di Pakka?

Mi viene difficile elogiare le nostre attività commerciali. In realtà, la nostra intenzione è di fare ciò che ci sembra buono e giusto. Detto ciò, il nostro obiettivo non è imporre alle altre imprese il modo in cui ci si deve comportare. Ma se alcuni ritengono che Pakka si fondi su un modello sostenibile e redditizio, allora ci riteniamo soddisfatti.

Un profano fatica a trovare la propria strada in un mondo labirintico di marchi e certificazioni di qualità. Ha un consiglio utile per facilitare il compito?

In Svizzera è relativamente facile. Per i prodotti che presentano il marchio «Max Havelaar», possiamo ritenere che la produzione sia stata equa. Vale lo stesso per «Bio Suisse», in materia di certificazione biologica.

Ueli Baruffol: «Il nostro obiettivo non è imporre alle altre imprese il modo in cui ci si deve comportare. Ma se alcuni ritengono che Pakka si fondi su un modello sostenibile e redditizio, allora ci riteniamo soddisfatti».
Ueli Baruffol: «Il nostro obiettivo non è imporre alle altre imprese il modo in cui ci si deve comportare. Ma se alcuni ritengono che Pakka si fondi su un modello sostenibile e redditizio, allora ci riteniamo soddisfatti».
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È in grado di fare una dichiarazione forte sul progressismo e il suo collegamento con la sostenibilità?

Oggi siamo sorpresi quando pensiamo ad un periodo in cui le donne non potevano votare. Tra 50 anni, ci interrogheremo sul nostro consumo affamato di risorse del 2020 (il 170% delle risorse mondiali). In materia di emissioni di gas ad effetto serra, saremo allo stesso modo basiti nel constatare che la nostra mobilità oggi dipende ancora dalla combustione di fonti fossili.

Mangia frutta secca tutti i giorni?

Quasi. Soprattutto anacardi.

Sono i suoi preferiti?

Sì e no. Recentemente, ho mangiato anche molte mandorle pakistane. Mi piace il loro gusto speziato.

C’è della frutta secca che non le piace per niente?

La noce, che mangio raramente.

Quella a forma di cervello? Coincidenza o indizio?

Si riferisce alla domanda sul mio quoziente intellettivo posta all’inizio dell’intervista? (ride) Seriamente, non posso dire perché non mi piaccia questo tipo di frutta secca. Senz’altro conta il fatto che non la vendiamo.

Quali sono le sue ricette a base di frutta secca?

Preferisco mangiarle al naturale.

Cosa non manca mai nel suo frigorifero?

Latte di riso, groviera, emmental e burro. La mia famiglia consuma molto burro.

Le ripeterò tre frasi che ha pronunciato nei media e lei dovrà indicarmene il significato. «Non si può puntare sulla sostenibilità in modo credibile se non si pensa alla propria famiglia e a sé stessi».

Essere sostenibile oggi vuol dire influenzare l’avvenire. Il mondo nel quale vivranno i nostri figli e i nostri nipoti. Spero che attraverso le mie attività commerciali potrò portare il mio mattone, pur minimo che sia, per costruire un mondo migliore.

«Le persone dovrebbero comprare la nostra frutta secca per il piacere, non solo per umanità».

È vero. Non vogliamo vendere solo prodotti biologici di qualità che siano buoni. Il nostro desiderio è di mostrare alle persone che la qualità, il bio e il commercio equo possono andare assieme.

«La grande illusione del commercio equo è credere che la frutta secca arrivi direttamente dagli agricoltori locali al consumatore svizzero. In realtà, esiste tutta una serie di processi economici complessi intermedi».

Le ONG spesso vogliono che gli agricoltori siano responsabili della vendita dei loro prodotti. Secondo me è un’utopia. È cruciale mostrare agli agricoltori i metodi che possono permettere loro di coltivare prodotti di migliore qualità e indicare loro le procedure da seguire per ottenere le certificazioni. Possono anche realizzare la prima tappa, ovvero l’essiccamento della frutta secca. La commercializzazione deve tuttavia essere organizzata da un’impresa locale, spalleggiata da un imprenditore specializzato nella vendita. È esattamente questo tipo di imprese sulle quali ci concentriamo. Non ho mai visto una cooperativa di agricoltori capace di gestire l’aspetto commerciale da subito. È un processo lungo.

Cosa teme di più: il giudizio di un amico o quello di un avversario?

Quando la critica che arriva da un amico è giusta, è dura. Un avversario, al contrario, di certo ti critica perché vuole parlare male di te.

Ha delle aspirazioni insoddisfatte?

Spesso ho dovuto sotterrare la speranza di un cambiamento rapido. I processi democratici sono cruciali e appassionanti, ma richiedono anche tempo. Devo ammettere che come imprenditore, spesso preferirei andare più velocemente. Tuttavia, sono anche cosciente del fatto che non funzionerebbe. Tra le altre cose perché non vogliamo imporre ai nostri partner un determinato funzionamento.

Le capita di invidiare gli animali, che non hanno problemi a vivere senza particolari aspirazioni?

Quando abbiamo creato Pakka, e gli eventi non si sono susseguiti velocemente come previsto, a volte mi sono detto: «Ah se fossi un pesce rosso, questi problemi sarebbero per me ignoti». Ma col passare del tempo ho imparato a valorizzare le sfide che non si trasformano sul campo in successo.

Qual è il suo animale preferito?

L’elefante. Ne ho infatti collezionati di qualsiasi materiale. Perché? Non me lo ricordo proprio.

Questa collezione esiste ancora?

Sì, in una cassa in cantina.

L’ultimo libro letto?

Un thriller... mi spiace ho dimenticato il titolo. Leggo spesso a letto la sera.

Ueli Baruffol: «Quando abbiamo creato Pakka, e gli eventi non si sono susseguiti velocemente come previsto, a volte mi sono detto: “Ah se fossi un pesce rosso, questi problemi sarebbero per me ignoti”».
Ueli Baruffol: «Quando abbiamo creato Pakka, e gli eventi non si sono susseguiti velocemente come previsto, a volte mi sono detto: “Ah se fossi un pesce rosso, questi problemi sarebbero per me ignoti”».
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La sua ultima manifestazione?

Non manifesto.

I giovani sono più intelligenti delle persone anziane?

Spero che l’umanità evolva di generazione in generazione. Suppongo dunque, o piuttosto lo spero, che la prossima generazione sia più intelligente della mia.

I bambini devono imparare a pensare come Jeff Bezos e Elon Musk?

Assolutamente no. Jeff Bezos e Elon Musk sono due imprenditori che hanno avuto successo nei loro settori. Ma ciò non significa che gli altri debbano allinearsi al loro modo di pensare. Ciascuno si comporta a modo proprio nella vita, ciascuno ha i propri interessi. A mio avviso, non si tratta di imparare a scimmiottare gli altri, ma piuttosto di scoprire chi si è e da cosa si è animati.

È fiero di essere padre?

Sì.

Le piacerebbe essere sua moglie?

No (ride).

Crede in Dio?

Credo nella vita, nell’amore e sono convinto che esista un’energia positiva. Ciascuno può darle il nome che preferisce.

Pierre Maudet, Mario Fehr, Christoph Blocher: ci sono dei politici che non sono degli idioti?

La prossima.

A quale personaggio mondano vorrebbe dare «un calcio nel sedere»?

La prossima.

Quale politico ecologista desidererebbe mettere sulla retta via?

Ritengo che la politica svizzera funzioni bene. Di tanto in tanto, quando scopro i presunti problemi dei quali discutiamo per ore, mi torna in mente una storia che mi ha raccontato un collega del Guatemala. Per tre anni, ha lavorato a Ginevra per un’organizzazione internazionale. Un giorno, leggendo il giornale, è capitato su un articolo in prima pagina che parlava del budget dell’Opera. Allora ha deciso di lasciare la Svizzera.

E perché?

Mi ha spiegato che un Paese capace di trattare la questione del budget dell’Opera in prima pagina su un giornale è un Paese che non ha veri problemi. Preferiva vivere in una nazione con problemi tangibili, nella quale poter operare a favore di un cambiamento.

La più bella rissa della sua vita?

Da bambini a volte ci picchiavamo, ma poi non è mai più capitato.

Per quali prodotti spende troppo denaro?

Spendo molto denaro per i prodotti biologici.

Manca qualcosa alla sua felicità?

È quasi mezzogiorno… devo mangiare (ride).

Sa fare autocritica?

Sì, mi metto regolarmente in discussione. Inoltre, sono anche aperto alle critiche che provengono dai miei dipendenti. Secondo me, ciascuno deve potersi esprimere apertamente nella nostra impresa.

Chi avrebbe preferito non incontrare?

Non mi viene in mente nessuno.

La serie «Upload» è in questo momento in programmazione sulla piattaforma di streaming Amazon Prime. La storia in due parole: gli esseri umani, al termine dalla loro vita, possono scegliere se morire o effettuare l’upload della propria anima in un mondo virtuale meraviglioso. Se fosse possibile cosa sceglierebbe?

Sceglierei l’upload. Ma a una condizione: se il mondo virtuale non dovesse piacermi, devo poter cancellare i miei dati.

Spera in una vita dopo la morte?

No. Penso che abbiamo tutti diritto ad un solo giro di giostra. Sarebbe invece bello se ciascuno lasciasse dietro di sé qualcosa di buono.

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