ConflittiGaza: progressi nei colloqui, «Hamas riduce le pretese»
SDA
25.2.2024 - 08:46
C'è un chiaro segnale di passi in avanti per un accordo sugli ostaggi israeliani ancora trattenuti a Gaza e una possibile tregua nella guerra di Israele contro Hamas.
25.02.2024, 08:46
SDA
Dopo i negoziati al Cairo con la fazione islamica, i nuovi colloqui a Parigi – tra il direttore della Cia William Burns, il Qatar, l'Egitto e il capo del Mossad David Barnea – sono stati definiti «molto buoni» e forieri di «significativi progressi».
Il quadro aggiornato nella capitale francese passa sia all'esame di Hamas che a quello del gabinetto di guerra israeliano. Secondo molte fonti, ad accorciare le distanze sembra aver contribuito il fatto che la fazione islamica abbia «ridotto» molte delle sue condizioni iniziali, il che potrebbe aprire, pur con tutte le cautele del caso, a una soluzione positiva «prima di Ramadan» che comincerà il 10-11 marzo.
Ma Hamas frena sulle ricostruzioni dei media: Taher Anonu, capo dello staff del leader Ismail Haniyeh, ha affermato che le notizie sulle rinunce dei miliziani sono «propaganda israeliana». Per il funzionario palestinese, le condizioni poste da Hamas per un accordo restano la cessazione della guerra, il ritiro delle forze israeliane da Gaza, la revoca del blocco e la riabilitazione della Striscia di Gaza.
Secondo media arabi e altre fonti, Hamas avrebbe invece rinunciato alla richiesta di un ritiro totale dell'Idf da Gaza – inaccettabile per Israele – e a un cessate il fuoco permanente in favore di una tregua iniziale di 6 settimane. Ridotto – secondo le stesse fonti – anche il numero dei detenuti palestinesi che Israele dovrebbe liberare in cambio dei rapiti: si parla di 200-300 nella prima fase, definita umanitaria, dell'intesa.
In questo primo passaggio Hamas – secondo il sito Ynet – rilascerebbe circa 35-40 bambini, donne, adulti over 60 e malati, compresi giovani. Ma allo stesso tempo chiederebbe comunque che il ritiro dell'Idf dai centri più abitati e il rientro degli sfollati dal sud al nord della Striscia. «Siamo ancora lontani da un accordo ma Hamas – ha spiegato un alto funzionario politico israeliano – ha abbandonato alcune sue richieste in seguito all'irrigidimento del premier Netanyahu». Ora, «qualsiasi ulteriore progresso – ha sintetizzato una fonte diplomatica, citata da Haaretz – è nelle mani di Hamas».
Che la situazione sia in movimento, lo ha detto anche il premier Benyamin Netanyahu confermando che si «sta lavorando per ottenere un altro schema per il rilascio dei nostri ostaggi». L'obiettivo – ha detto – «è discutere i prossimi passi dei negoziati». Ma il premier non ha certo accantonato la pressione militare con l'annunciata operazione militare a Rafah, nel sud della Striscia, dove si addensano centinaia di migliaia di sfollati palestinesi.
All'inizio della prossima settimana il gabinetto di guerra ne esaminerà i piani operativi, «compresa l'evacuazione della popolazione civile», per completare «l'eliminazione dei battaglioni di Hamas». «Solo una combinazione di pressione militare e negoziati risoluti – ha ribadito – porterà al rilascio dei nostri ostaggi, all'eliminazione di Hamas». Nel frattempo, Netanyahu continua ad affrontare le proteste in piazza, con migliaia di persone scese in strada sabato a Tel Aviv, in una manifestazione non autorizzata dalla polizia, che ha risposto con idranti e 19 arresti, e con una fiaccolata a Gerusalemme.
Al 141esimo giorno di guerra, l'esercito si è concentrato a Zeitun, quartiere occidentale di Gaza City, nel centro della Striscia, e nella roccaforte di Hamas a Khan Yunis, nel sud. In entrambi i luoghi l'Idf ha riferito di «intensi combattimenti» in cui sono stati uccisi «molti operativi di Hamas». Dal canto suo il ministero della Sanità di Hamas ha riferito che i morti sono arrivati dall'inizio della guerra a 29'606.
Nelle disastrate condizioni umanitarie dell'enclave palestinese, l'Unrwa, l'agenzia delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi, ha affermato di essere stata costretta a sospendere la consegna di aiuti nel nord di Gaza dove non è «possibile condurre operazioni umanitarie adeguate» a causa della situazione di fame e di disperazione della popolazione che sfocia in attacchi e disordini.
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