Yann Orhan, il nuovo direttore artistico della captazione video dei concerti del Montreux Jazz Festival.
Yann Orhan, nelle vesti di burattinaio delle immagini in piena azione nel camion della regia del Montreux Jazz Festival.
Yann Orhan, burattinaio artistico dei video al Montreux Jazz - Gallery
Yann Orhan, il nuovo direttore artistico della captazione video dei concerti del Montreux Jazz Festival.
Yann Orhan, nelle vesti di burattinaio delle immagini in piena azione nel camion della regia del Montreux Jazz Festival.
Il fotografo francese Yann Orhan è il direttore artistico della registrazione video dei concerti del Montreux Jazz Festival. Specializzato in copertine di dischi, opera dietro le quinte nelle vesti di burattinaio delle immagini proiettate sugli schermi delle sale.
Il suo nome non è molto conosciuto in Svizzera ma in Francia Yann Orhan è uno dei fotografi rock più ricercati, sempre il più vicino possibile all'anima degli artisti che cattura con il suo obiettivo. È l'autore di copertine di dischi di molte star della canzone francofona quali Françoise Hardy o Thomas Dutronc.
In Svizzera, il cantante vallesano Marc Aymon e il musicista ginevrino Eric Linder, alias Polar, hanno anch'essi fatto appello al suo talento per decorare una delle loro copertine di album.
Una sfida enorme
Per la sua 56esima edizione, il Montreux Jazz Festival si è rivolto a lui per apportare uno sguardo nuovo e rivisitare artisticamente la registrazione video dei concerti. Il festival lo ha ingaggiato in qualità di direttore artistico in questo ambito visivo, lasciandogli carta bianca.
«Sono rimasto abbastanza sorpreso che mi chiamassero per questo, ma avevo fatto cose che i responsabili del Montreux Jazz avevano apprezzato e che corrispondevano alle loro attese», ha confidato Ohran a Keystone-ATS giovedì sera a margine del concerto del trombettista libanese Ibrahim Maalouf. «Sinceramente, è una sfida enorme. È folle per me», si entusiasma.
«Ho l'impressione di entrare nella leggenda del festival. Spero di essere qui almeno per tre anni per vedere fino a dove possiamo andare» in fatto di registrazione video, dice. L'artista non nasconde di voler addirittura «provare a rimanere più a lungo». E perché no lasciare la sua firma visiva al Montreux Jazz.
Come girare un film
Il pubblico ha così potuto scoprire le realizzazioni di questo burattinaio dell'immagine nel corso dei quindici giorni di festival, sui due grande schermi posti a ogni lato dei palchi dell'Auditorium Stravinski e del Monteux Jazz Lab (ex-Miles Davis Hall).
«Abbiamo ritirato tutti i macchinari e messo delle persone al loro posto. Tutti i giorni abbiamo nove telecamere allo Stravinski e cinque al Lab. Sul palco, ai lati, dietro, davanti e anche una telecamera portata da un regista nel pubblico. Siamo organizzati in due gruppi, uno per ogni sala», spiega Ohran, che dirige i fili umani e tecnologici dal camion regia.
«Mi piace l'idea di andare oltre la semplice registrazione dei concerti, girare in qualche sorta un film, anche se è forse un po' pretenzioso», aggiunge. «Il primo vero progetto che è stato firmato per fare qualcosa d'altro è quello con Nick Cave. Abbiamo ripreso tutto il concerto e farò un mese di montaggio per creare qualcosa di nuovo.»
Lavoro fotografico più personale
Ohran, classe 1970, vive attualmente a Parigi. Dopo gli studi in comunicazione visiva, si è orientato verso la fotografia, la grafica e la regia. Nel corso di incontri emblematici, si è focalizzato sull'industria discografica in qualità di direttore artistico.
Sul suo sito internet, spiega di aver lavorato anche per Leonard Cohen, Lang Lang, Julien Doré, Bruce Springsteen, Quincy Jones, Imelda May, Renaud, Michel Polnareff, Damon Albarn, Tears For Fears, Miossec, Ayo, Gaëtan Roussel, Sallie Ford, Axel Bauer, Lou Doillon, Johnny Halliday o ancora Jacques Dutronc. Per copertine di dischi, ritratti fotografici o videoclip.
In parallelo, ha sviluppato un portfolio fotografico più personale, alternando ritratti di famiglia a nature morte. Ha ad esempio lavorato ad una serie intitolata «Nos vies invisibles» (Le nostre vite invisibili, ndr), incentrata essenzialmente sul vuoto, la mancanza e l'abbandono a sé stessi. Nel 2010, ha pubblicato un libro fotografico, «Memories, miroir noir».