La partita di sabato tra San Gallo e Sion è stata oscurata da disordini dopo il fischio finale. Sembra che commenti razzisti siano stati all'origine di tali comportamenti.
Razzismo, parole, gesti e intenzioni che puntano a ledere l'integrità di una persona solo a causa del colore della pelle o di una differenza etnica sono un male che affligge l'umanità da secoli.
Lo sport non è risparmiato da questo fenomeno, anzi, proprio per la sua sempre crescente popolarità e multiculturalità dei suoi principali attori è diventato esso, suo malgrado, cassa di risonanza di atteggiamenti razziali.
L'esempio più recente arriva dalla nostrana Super League. Al termine della sfida giocata sabato tra San Gallo e Sion - finita in parità, 1:1 - si sono viste in campo scene deprecabili.
Il portiere della squadra vallesana, Timothy Fayulu, sarebbe stato oggetto di rumori, gesti di scherno e commenti razzisti da parte dei tifosi avversari. La direzione del San Gallo nega tutto ciò: Fayulu avrebbe frainteso qualcosa.
Chi guarda, scrive e legge, probabilmente non saprà mai cosa sia realmente successo al Kybunpark, cosa abbia innescato la miccia che ha generato le scene che potete visionarie nel video qua sotto.
Purtroppo, gli episodi di xenofobia di cui, suo malgrado, i grandi palcoscenici fanno da grande cassa di risonanza, sono solo l'apice di questo fenomeno riprovevole.
C'è la necessità di agire
Secondo Patrick Clastres, della Commisione federale contro il razzismo, nelle leghe minori del calcio le cose vanno anche peggio: «L'uso delle categorie razziali nel linguaggio quotidiano è totalmente banalizzato. Le espressioni discriminatorie sono negate. Gli arbitri e gli allenatori hanno pochi strumenti e disposizione per arginare il fenomeno e si sentono lasciati soli».
Clastres, esperto internazionale di storia dello sport, vede la necessità di agire: «Lo sport è l'ultimo baluardo per il razzismo che viene espresso pubblicamente, e troppo spesso impunemente». Secondo l'esperto, tuttavia, la questione non riguarda solo i club. Anche i media devono interrogarsi sui contenuti dei loro reportage: «Da circa vent'anni, si osserva in tutto il mondo una nazionalizzazione dell'immagine dello sport. Per conquistare il pubblico, i media si concentrano sugli atleti nazionali. La riattivazione del nazionalismo sportivo non è senza pericolo, e serve da terreno per il razzismo».
In merito al lavoro dei club, Clastres riconosce quanto essi, grandi e piccoli, ricoprano una funzione di modello morale. «Sono attivi da anni, ma spesso sono anche impotenti di fronte alla sfida del razzismo».
Per concludere, accogliendo l'invito a rispettare la funzione morale che rivestiamo come media, ci teniamo a ricordare che nello sport - come nella vita - nessuno, per nessun motivo, deve essere penalizzato o denigrato per la diversità del colore della pelle, per il proprio patrimonio genetico o per altre differenze, che, anzi ci rendono unici.