Fulvio Sulmoni, che ha smesso da poco i panni del calciatore professionista, ha scritto un libro molto critico sul calcio. Noi di blue lo abbiamo incontrato per voi.
Dopo 15 anni di carriera professionistica, al termine della scorsa stagione Fulvio Sulmoni ha detto addio al calcio. Lugano, Locarno, Chiasso, Bellinzona e Thun, queste le tappe di una carriera che hanno visto il difensore di Mendrisio giocare anche diciotto partite di Europa League.
È uscito in punta di piedi - come si addice a qualcuno che non deve per forza far fracasso per dimostrare la propria grandezza - lasciando per contro una testimonianza unica nel mondo del pallone: un libro scritto da lui stesso, senza aiuti da parte di professionisti della penna, in cui racconta il bello della vita del calciatore professionista ma più che altro, presenta le insidie, le sofferenze e il marciume del mondo del pallone che ha svenduto la sua anima leggera alla pesantezza del denaro.
È già partita la stampa della terza edizione di «Piacere di averti conosciuto» che Fulvio Sulmoni ha affidato alle Edizioni Vignalunga della sua Mendrisio.
Noi di Blue sport lo abbiamo incontrato in un bar luganese, rigorosamente bardati di mascherina, per svelare qualcosa di più dell’uomo Fulvio, del suo libro e della sua esperienza diretta nel mondo del calcio professionistico.
Breve nota dovuta: chi scrive sa dover ridare i pensieri e le parole di un ex calciatore che con il suo libro ha dimostrato di essere già ‘uno scrittore’ di grande talento. Vale la pena apprezzare la penna di Sulmoni, originale, fresca, pungente e scorrevole.
A luglio 2019 a Fulvio Sulmoni fu trovato un tumore maligno ai testicoli. Oggi ci dice di stare bene; le cellule impazzite sono state sconfitte. Novembre 2020: Fulvio Sulmoni lavora in banca affrontando giornalmente le classiche ore d’ufficio.
Non ti manca il calcio?
«No, per niente. Apprezzo molto i fine settimana liberi da poter dedicare interamente alla mia famiglia, senza le pressioni mentali dovute ai match e alle preparazioni degli stessi».
Fulvio Sulmoni e sua moglie Paola hanno una figlia, Aurora, alla quale il papà augura di non diventare una calciatrice professionista, ma alla quale non negherà mai il permesso di provarci, se lei lo volesse un giorno. Per il suo piccolo tesoro - ma anche per eventuali figli maschi non ancora nati - Fulvio Sulmoni preferirebbe nascesse la passione per altri sport.
Il gioco del pallone è divertimento e leggerezza per i bambini, per alcuni ragazzi diventa motivo di vita e per pochi una professione.
Nel suo libro Sulmoni cita ricerche fatte dalla Federazione Svizzera di calcio, al termine delle quali si conclude che le possibilità di poter vivere di calcio, fino a 35 anni se va bene, sono veramente poche; guadagnare per vivere di rendita al termine della carriera professionistica è un impresa rischiosa quasi quanto affidare la propria vita alla vincita dell’Euromilion.
Il calcio è un gioco e come tale dovrebbe divertire chi lo pratica: è stato così anche per te?
«Se gli amici ancora oggi mi chiedono di andare al campetto sopra casa per fare una partitella rinasce dentro di me lo spirito del bambino con il suo amico pallone. Durante la mia carriera ho avuto momenti belli, ma anche tanta, tanta sofferenza. Il mio libro vorrebbe rendere attenti ragazzi e famiglie su aspetti del calcio del quale nessuno parla. Con questo mio libro vorrei prevenire, nel limite del possibile, le situazioni difficili di sofferenza che io descrivo nel libro e che ho vissuto sulla mia pelle».
Qualche settimana fa il 17enne Jeremy Wisten, giocatore delle giovanili del Manchester City, si è tolto la vita dopo essere stato ‘tagliato’ dai citizens e in seguito, non aver trovato nessun’altra squadra con cui continuare il proprio sogno verso il professionismo.
Aldilà delle fragilità emotive evidenti di alcuni ragazzi, secondo te che responsabilità ha il calcio in storie tragiche come questa?
«Mi spiace sentire ciò. Se al calcio si possono accollare alcune responsabilità che sfociano in drammi simili, credo che queste abbiano a che fare con le false promesse di guadagni milionari e di una vita bellissima che allenatori e società paventano a bambini e ragazzi. Perché un ragazzo giovane crede a ciò che dicono gli adulti… e li si illude, regalando loro sogni effimeri. Questo lo trovo sbagliatissimo. L’allenatore non dovrebbe essere il primo fanatico che spinge i ragazzi verso una vita fatta di solo calcio».
Nella serata di presentazione del tuo libro hai detto che gli allenatori delle squadre giovanili non dovrebbero interessarsi al risultato...
«Vero. Sono convinto che per i bambini e per i ragazzi che giocano a calcio nelle nostre società di paese, ma anche per chi aderisce a formazioni del calcio d’élite, il risultato dovrebbe essere una questione marginale. I ragazzi devono potersi divertire e in questo allenatori e famiglia hanno un ruolo decisivo».
Nel tuo libro parli di procuratori e avvocati che compongono il mondo del calcio odierno - quello professionistico - ai quali accosti i termini come disonesto, arrivista e non-trasparente. Il calcio come specchio della nostra società?
«Chi opera nel calcio è parte della società. Spero che questo periodo difficile, e mi riferisco alla crisi sanitaria dovuta alla pandemia, possa essere d’insegnamento a tutti per rivedere quali sono le cose davvero importanti, con l’augurio che si possa essere tutti più umani e meno arrivisti».
Uno dei tanti allenatori incontrati nella tua lunga carriera - che trova un posto d’onore anche nel tuo libro, e sono solo tre - è Carlo Ortelli (personaggio molto conosciuto dai calciofili ticinesi). Lui ha detto che il giocatore ideale per ogni allenatore deve essere un ragazzo impegnato, onesto, intelligente, semplice e corretto… uno come Fulvio Sulmoni insomma.
«Faccio sempre fatica a riconoscere i miei pregi, forse anche per questo ho sempre esercitato un'autocritica eccessiva quando gli allenatori mi lasciavano in panchina; ma penso che Carlo Ortelli abbia ragione, mi riconosco in questi aggettivi».
Valori e ideali che Sulmoni ammette di aver visto proprio nel suo Allenatore storico, di aver respirato in famiglia: onestà, trasparenza, intelligenza, correttezza. Modi di essere che forse hanno frenato l’ascesa di Sulmoni a palcoscenici del calcio più importanti e ricchi.
«Forse sì: ho sempre scusato le scelte degli allenatori, riversando le colpe solo su me stesso; un limite che credo non mi abbia permesso di esprimere al massimo il mio potenziale».
Lasciamo da parte il calcio, la realtà e permettiamoci un gioco di fantasia. Se Fulvio Sulmoni potesse portare solo tre cose - oltre alla sua famiglia - su di un’isola deserta dalla quale non potrebbe più far ritorno, cosa porterebbe?
«Libri - il primo fra tutti ‘Sapiens: da animali a dei’ di Yuval Noah Harari -, giochi di società e … (difficile scegliere tra migliaia di oggetti) un pallone, per giocarci con mia moglie e mia figlia».
Con la consapevolezza di oggi Fulvio Sulmoni non ripercorrerebbe più la strada del professionismo nel calcio. Voleva fare il dottore Fulvio Sulmoni. Un uomo, un ex calciatore, un medico mancato che sa che il nastro della vita non lo si può cancellare, ma dal quale si può trarre insegnamento, per sé e per gli altri.
«Sono pronto a scrivere nuovi capitoli della mia vita … ma senza di te caro calcio … nonostante tutto … tengo a dirti che … è stato un piacere averti conosciuto.»
Anche per noi è stato un piacere Fulvio Sulmoni. In bocca al lupo, e grazie.