Evelina Raselli, vincitrice del campionato svizzero di hockey con le Ladies Lugano, parteciperà ai Mondiali che si svolgono a Calgary da oggi, 20 agosto fino al 31. Noi di blue Sport l'abbiamo incontrata per voi.
Evelina Raselli, nata a Poschiavo (Grigioni) 28 anni fa, da anni fa parte della nazionale femminile svizzera di hockey su ghiaccio. In carriera, con la maglia rossocrociata, Raselli ha vinto una medaglia di bronzo ai Mondiali del 2012 e una medaglia di bronzo alle Olimpiadi del 2014 a Sochi. La grigionese, inoltre, si è laureata cinque volte campionessa svizzera con la maglia del Lugano, oggi Ladies Lugano.
««Partecipare alle Olimpiadi è il sogno di ogni atleta»»
Qual è stato il trionfo più bello?
Sorride, forse al solo pensiero di dover rispondere di nuovo, una volta ancora, alla classica domanda. «Credo che il bronzo alle Olimpiadi di Sochi nel 2014 sia stato finora il momento più bello della mia carriera sportiva. Partecipare ai Giochi Olimpici è il sogno di ogni atleta, coronarlo è stato davvero emozionante. Vincere addirittura una medaglia olimpica è un evento straordinario. Alle Olimpiadi la tensione è molto maggiore, vuoi per la presenza di diversi media e per il pubblico che gremisce gli stadi: aspetti che nell’hockey femminile in Svizzera sono molto meno presenti».
«Sul ghiaccio di Poschiavo ho avuto la fortuna di divertirmi molto»
Sei nata lontana dai grandi centri dell’hockey, eppure sei oggi una delle giocatrici più forti in Svizzera. Com’è possibile?
«Inizio con il dire che l’hockey femminile è cambiato molto negli ultimi dieci anni… io ho avuto la fortuna di poter saltar sul treno prima di questo grosso cambiamento. Oggi, anche le bambine, così come i coetanei maschi, devono investire molto negli allenamenti tecnici e nella preparazione atletica. Sul ghiaccio della piccola Poschiavo ho avuto la fortuna di divertirmi molto, trascorrendo diverse ore sulla pista in compagnia dei miei amici. Si giocava a hockey ma non solo. Avendo saputo di una squadra femminile nella vicina Engadina, più precisamente a Celerina, ho deciso di imbarcarmi in questa esperienza, anche grazie all’aiuto dei miei genitori che hanno dovuto affrontare diverse volte il passo del Bernina per potermi permettere di giocare. Passo dopo passo, con la prima chiamata da parte della selezione nazionale Under 18, è maturata in me l’idea di continuare a giocare, di migliorare, di aspirare ad obiettivi sempre più alti. Il passaggio a Lugano mi ha definitivamente lanciato nel mondo dell’hockey nazionale e poi internazionale».
Cosa manca all’hockey femminile svizzero rispetto alle grandi nazioni quali Canada, Stati Uniti e Svezia?
In Canada, Stati Uniti e Svezia si investe molto di più, sia nella preparazione delle giovani giocatrici che in un campionato di quasi professioniste. Potendosi allenare tutti i giorni cresce di molto il tasso tecnico e atletico. In questi campionati c’è più tempo per il recupero psico-fisico, in quanto la mattina dopo una partita le ragazze non devono per forza alzarsi per andare al lavoro».
Evelina Raselli ha un lavoro, quasi a tempo pieno (90%) e come tutte le sue compagne si allena e gioca la sera e durante i fine settimana. Nel corso della stagione 2019-2020 la ragazza di Poschiavo ha avuto la possibilità di giocare in Svezia, per il Brynäs IF.
«In Svizzera vi sono giocatrici davvero brave che giocano e si allenano con ragazze che non hanno grandi obiettivi aldilà del piacere di giocare e divertirsi»
Che esperienza è stata per te? Quali sono le grandi differenze con la realtà svizzera?
«Cominciamo con il dire che per alcuni mesi ho avuto il privilegio di vivere come una professionista dell’hockey femminile. Ci allenavamo la mattina o il pomeriggio e dunque c’era molto tempo per il recupero. Come ho già detto prima, in Svezia le giocatrici sono semiprofessioniste, dunque il livello di preparazione atletica e tecnica è superiore a quello che si trova in Svizzera. Diciamo che bisogna lottare molto di più per guadagnarsi il posto in campo visto che c’è più livellamento all’interno della squadra. Da noi, in Svizzera, vi sono giocatrici davvero brave che giocano e si allenano con ragazze che non hanno grandi obiettivi aldilà del piacere di giocare e divertirsi».
Ti piacerebbe fare la giocatrice professionista?
«Alcuni anni fa avrei risposto di sì, oggi come oggi, devo ammettere che l’hockey riempie sempre ancora la mia vita ma non vorrei diventasse tutta la mia vita, nonostante la grande passione che ho per esso».
«La Svizzera è inserita nel Gruppo A con USA, Russia, Finlandia e Canada… è nostra intenzione fare del nostro meglio conoscendo la forza delle avversarie»»
Anche quest'anno parteciperai ai Mondiali che si svolgeranno in Canada, ad Halifax. Quali sono i tuoi obiettivi? Quali quelli della Nazionale?
«Personalmente, come sempre, è mia intenzione di dare il massimo contributo alla mia squadra, sia sul campo che fuori. Ho una certa esperienza di tornei internazionali (la Raselli ha partecipato a dieci edizioni dei Mondiali di hockey femminile e a due edizioni dei Giochi Olimpici) che so di poter mettere a disposizione delle compagne più giovani. La Svizzera è inserita nel Gruppo A con USA, Russia, Finlandia e Canada… è nostra intenzione fare del nostro meglio conoscendo la forza delle avversarie».
«I check duri tra i maschi hanno lo scopo principale di dimostrare la virilità dei contendenti»
L’hockey maschile piace anche per la sua durezza e per l’aggressività che si consuma in campo. Tra voi ragazze queste componenti sono un po’ meno presenti. Da un punto di vista prettamente tecnico-tattico, preferisci l'hockey maschile o femminile?
«Concordo sul fatto che l’hockey maschile e molto più rude e fatto di spettacolari check alle balaustre, che comunque, gran parte delle volte non hanno una funzionalità nell’economia del gioco se non quella di dimostrare la virilità dei contendenti. Noi ragazze siamo molto preparate sia tatticamente che tecnicamente. Guardare una partita delle nostre è altrettanto interessante».
Da giocatrice della Nazionale femminile Florence Schelling era diventata ds del Berna maschile -. Tu come vedi questa situazione, per ora quasi un unicum nel panorama hockeystico internazionale?
«Beh, devo ammettere che già da giocatrice Florence è stata davvero eccezionale, con le sue parate ha davvero deciso diverse sfide in nostro favore. Il ruolo del portiere nell'hockey è alquanto particolare, come speciale è il suo attuale incarico. In qualità di direttore sportivo devi saperti muovere su diversi fronti. Personalmente trovo davvero positivo che una società importante e solida come il Berna abbia deciso di affidare la posizione di direttore sportivo a Florence. Spero sia solo l’inizio di una sempre maggiore presenza femminile nell’hockey maschile».
Tu l'hai avuta anche come compagna di squadra. Già allora si vedevano le sue doti da dirigente? Potresti immaginarti nella stessa posizione?
«Come ho già detto Florence è stata una delle giocatrici più importanti del panorama hockeystico svizzero al femminile, nel suo ruolo era un vero e proprio fenomeno. Non penso ancora a cosa farò una volta smesso di giocare. Cerco di godermi il momento. Posso immaginare che mi piacerebbe ricambiare ciò che questo sport ha dato a me … forse come allenatrice, chissà. Sono convinta che l’hockey rimarrà nella mia vita, ma non credo che diventerò una dirigente (sorride)».
Se un giorno ti trovassi a dover consigliare tua figlia se giocare a hockey oppure giocare a pallavolo, cosa le diresti?
«Le direi di fare entrambe le attività, poi, se dovesse dover scegliere tra le due, cercherei di accompagnarla nel processo di capire quale preferisce».
«Posso anche dimenticare il risultato di una determinata partita, gli autori delle reti, ma non dimentico le emozioni provate sul ghiaccio, nell’immediato dopo negli spogliatoi»
Sei nata in una famiglia di sportivi. Quali sono gli insegnamenti che ti dà lo sport e che modellano la tua vita di tutti i giorni?
«Lo sport mi ha insegnato, mi insegna tutti i giorni, che nella vita si vince e si perde, a volte si perde quando dovresti vincere e viceversa. Ho imparato ad accettare dei verdetti che lì per lì mi sembravano ‘ingiusti’. Nello sport come nella vita ti accorgi che l’impegno costante ti permette di migliorare, di raggiungere degli obiettivi. Infine, mi vien da aggiungere un aspetto forse un po’ più filosofico. Mi sono innamorata dell’hockey per il suo aspetto sociale, per la sua caratteristica di sport di squadra. Mi spiego meglio: posso anche dimenticare il risultato di una determinata partita, gli autori delle reti, ma non dimentico le emozioni provate sul ghiaccio, nell’immediato dopo negli spogliatoi. Rimangono le amicizie, le emozioni vissute insieme e quello lo spirito di unità che si vive con la squadra».
Sappiamo che hai un legame particolare con l’Ambrì e la sua Valascia (papà Ugo è un grande tifoso del club leventinese), anche se mai hai giocato per i biancoblù. Cosa auguri all’Ambrì, che ha concluso una stagione difficile e che presto potrà allenarsi e giocare in una bella pista nuova di zecca?
Sorride, poi si compone. «Mi auguro che la pista possa portare dei vantaggi da un punto di vista sportivo all'Ambrì e che lì si possano festeggiare tanti successi. Spero che si possa ricreare l’ambiente famigliare e unico che ha sempre contraddistinto l’atmosfera che si respirava alla Valascia».