Pax commercialeUSA-Cina: corsa all'accordo per evitare i dazi
ATS
8.5.2019 - 21:12
A Washington sono ore decisive per capire se la pax commerciale tra Stati Uniti e Cina sia davvero possibile. Oppure se il mondo è destinato a vivere un'escalation senza precedenti nella guerra dei dazi.
Non a caso i mercati e l'intera comunità internazionale osservano con il fiato sospeso la nuova missione del vicepremier di Pechino Liu He nella capitale statunitense, alla vigilia dell'entrata in vigore delle nuove misure punitive verso 200 miliardi di dollari di prodotti «made in China».
Il contesto è di estrema incertezza, caratterizzato da una volontà di dialogo manifestata da entrambe le parti ma, allo stesso tempo, da una serie di stoccate reciproche che non aiutano a rasserenare il clima.
Insomma, un braccio di ferro vero e proprio, con Donald Trump che accusa Pechino di aver fatto una retromarcia nella speranza di trattare in futuro con un presidente americano più debole, che sia Joe Biden o qualcuno degli altri candidati democratici alla Casa Bianca: «Così potranno continuare a rubare», il durissimo affondo del tycoon su Twitter.
Da parte sua Pechino, come prevedibile, non ha perso tempo ed ha già annunciato le contromisure se tra la notte di venerdì e sabato scatterà l'aumento dal 10 al 25% dei dazi Usa su beni come scarpe, abbigliamento, mobilio, giocattoli o prodotti elettronici.
Il braccio destro di Xi Jinping per le politiche commerciali sembra comunque arrivato a Washington con il mandato di tentare un accordo, o comunque di prendere ancora tempo. Ma su quali basi resta un mistero.
Non è facile trovare in pochissimo tempo un compromesso, dopo che le autorità cinesi hanno rimesso completamente in discussione il testo messo a punto in mesi di lavoro. Lo avrebbero fatto con un cablogramma recapitato al Dipartimento del tesoro americano venerdì sera, contenente una bozza di accordo in sette capitoli in gran parte stravolta rispetto alla precedente. Cosa che ha scatenato le ire di Donald Trump.
Pomo della discordia resta soprattutto il processo di verifica dell'attuazione e del rispetto dell'intesa: gli Usa vorrebbero un meccanismo simile a quello delle sanzioni, con dazi automatici in caso di inadempienze. Pechino invece si limiterebbe a impegnarsi per una serie di riforme e di modifiche legislative e regolamentari per venire incontro alle annose denunce fatte dagli Usa: sul furto dei diritti di proprietà intellettuale, sul trasferimento forzato di tecnologie da parte delle aziende americane che operano in Cina, sugli aiuti di stato cinesi che alterano la concorrenza, sulla manipolazione dei tassi di cambio.
Ma c'è un dato che potrebbe contribuire a sbloccare la situazione spingendo Pechino a cedere su alcuni punti: quello dell'export crollato del 2,7% nel mese di aprile e che getta nuove ombre sulla tenuta dell'economia cinese e sulla possibilità che la crescita possa di nuovo stabilizzarsi. Mentre Trump sa che con l'economia Usa che naviga a gonfie vele la sua posizione è al momento più forte.
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