Cinema100 giorni di sciopero a Hollywood, stallo sull'accordo
SDA
9.8.2023 - 13:58
«Ci stanno strozzando» dice lo sceneggiatore Hunter Covington (tra le altre cose, di My name is Earl) davanti agli Universal Studios.
09.08.2023, 13:58
09.08.2023, 14:08
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Al suo fianco, la moglie Stacy Traub, anche lei sceneggiatrice e candidata agli Emmy, conosciuta a un presidio di protesta nel 2007, durante l'ultimo sciopero degli scrittori di cinema e tv contro gli Studios.
«Da allora la situazione è solo peggiorata – prende la parola lei – Ci spremono come limoni e riceviamo assegni di una manciata di dollari per i diritti su opere che online fanno milioni di visualizzazioni. Mantenere una famiglia con tre figli è diventato un gioco di prestigio».
Sono due voci delle migliaia che sfilano ai cancelli delle major tradizionali, di Netflix e Amazon ogni giorno dal 2 maggio, quando il contratto della categoria è scaduto senza che ci fosse un accordo su quello nuovo. Sono passati 100 giorni: una soglia importante in una città che ancora ricorda con sgomento lo sciopero di 15 anni fa, risolto con la firma tra le parti proprio al centesimo giorno.
Quest'anno l'accordo sembra lontano, visto che in più di tre mesi produttori e manifestanti si sono incontrati solo una volta. La serrata in corso ha tutte le carte per superare quella più lunga della storia di Hollywood: i 154 giorni del 1988.
Toccato l'intero modello dell'industria dello spettacolo
Con servizi di streaming che la fanno da padroni e l'intelligenza artificiale che già entra nel settore, in gioco non ci sono solo aumenti salariali e garanzie sui contratti, ma l'intero modello dell'industria dello spettacolo, che deve decidere come calcolare le retribuzioni e i diritti d'autore per opere dal successo impalpabile sulle piattaforme e come utilizzare software che imitano e sostituiscono la creatività dei lavoratori in carne ed ossa.
Con istanze molto simili, anche gli attori, rappresentati dalla sigla Sag-Aftra, si sono uniti ai picchetti il 14 luglio: uno «sciopero doppio» che non si verificava dal 1960. E che toglie lo stipendio non solo a chi incrocia le braccia, ma a un indotto che è un motore portante della città e dello stato.
Nel 2008 lo sciopero ha fatto precipitare la California in una recessione, con una perdita di 2,1 miliardi di dollari per le casse di Sacramento e di 37.700 posti di lavoro, secondo il Milken Institute in un rapporto di ricerca. Viste le condizioni già complicate dall'inflazione, quello di quest'anno manderebbe in fumo più di 3 milioni di dollari.
Déjà-vu della pandemia
La città, costellata di picchetti, première cancellate e professionisti disoccupati, vive in un déjà-vu della pandemia. Certo, tre anni fa erano arrivati gli assegni straordinari da Washington, da Sacramento e si poteva chiedere la disoccupazione. «Ora non c'è niente», dice Rachael Ferrara che fa la scenografa e negli ultimi mesi non ha avuto nessun ingaggio: «I set sono stati rimandati e poi sospesi del tutto. Wga e Sag hanno ragione, ma sono molto preoccupata», dice. Non è un caso isolato il suo.
La sigla sindacale che riunisce le maestranze del cinema (Iatse) e che rappresenta quasi 170.000 tra scenografi, operatori di macchina, tecnici del suono, montatori, truccatori o costumisti, pur non essendo in sciopero, ha destinato 4 milioni di dollari a un fondo di solidarietà per i suoi iscritti che versano in brutte acque.
«Gli effetti dolorosi dello sciopero sui nostri membri non possono essere ignorati – ha affermato il presidente della Iatse Matthew D. Loeb – Ma questa lotta è necessaria e il nostro sostegno collettivo va agli attori e agli scrittori». Ovviamente, ci sono sindacati più ricchi di altri.
«L'industria dell'intrattenimento è in crisi e la Fondazione Sag-Aftra sta elaborando più di 30 volte il normale numero di richieste di aiuti di emergenza», ha dichiarato il suo presidente Courtney B. Vance, annunciando la colletta di 15 milioni di dollari delle star del cinema destinata ai colleghi in difficoltà.