L'analisiChiese vuote e stadi pieni: è in corso una grande conversione?
hm, ats
20.9.2023 - 14:01
Le chiese si svuotano e gli stadi si riempono: le due cose sono collegate, è in corso una grande conversione? A tracciare paralleli fra i due ambiti è Hugh McLeod, professore emerito all'università di Birmingham (GB) e specialista di storia delle religioni.
Keystone-SDA, hm, ats
20.09.2023, 14:01
20.09.2023, 14:11
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«È vero che in alcuni paesi europei lo sport per le persone ha preso il posto che occupava la religione per i loro genitori o nonni», afferma l'esperto in un'intervista pubblicata oggi da 24heures e Tribune de Genève.
«Il fervore sportivo è un fenomeno internazionale: in Europa, gli individui sono impegnati nella loro chiesa tanto quanto nel loro sport preferito. In molte regioni del mondo non c'è conflitto di lealtà tra sport e religione. In Africa occidentale, il fanatismo calcistico fiorisce insieme al fervore religioso. Il cricket attira fanatici sia tra gli indù in India che tra i musulmani in Pakistan. E negli Stati Uniti è nella Bible Belt (che definisce gli Stati fondamentalisti del sud, dalla Florida al Texas) che il football americano trova i suoi più ferventi sostenitori».
Grande conversione? Un termine semplicistico
McLeod non esista quindi a parlare di grande conversione. «Sì, è una formula piuttosto accattivante, che semplifica però eccessivamente il mio pensiero sul fenomeno. Intendo dire che negli ultimi 200 anni lo sport si è progressivamente affermato come elemento principale della società, diventando una presenza ineludibile anche per chi non ne ha interesse, e che le religioni, volenti o nolenti, hanno dovuto adattarsi al movimento sportivo. Nello stesso periodo, nella maggior parte delle società occidentali, il cristianesimo e l'ebraismo hanno conosciuto un graduale declino, che si è accelerato negli ultimi cinquant'anni circa».
«Molti fattori hanno contribuito al declino delle religioni e non voglio dire che lo sport ne sia la causa», precisa l'accademico. «Tuttavia, è giusto dire che lo sport ha svolto un ruolo sotto due aspetti. In primo luogo, perché lo sport può offrire ciò che la religione non può più offrire: un senso di appartenenza. In Gran Bretagna, il 37% della popolazione dichiara di non avere una religione! Secondariamente, lo sport e la religione richiedono tempo: entrambi competono per il tempo libero delle persone».
L'appartenenza a una comunità
Secondo McLeod chi va allo stadio punta innanzitutto a rafforzare il senso di appartenenza a una comunità. «Gli spettatori si identificano con una squadra o un campione. Per alcuni, tutto ciò che conta è il risultato: condividono la vittoria e il mondo sembra loro più accettabile per il resto della settimana. Lo si può vedere nell'eccitazione della folla intorno a una partita di calcio. Alcuni hanno paragonato questo stato d'animo a quello che si può vedere nei raduni carismatici».
«Detto questo, lo sport non parla solo ai fanatici di una squadra o di un giocatore», sottolinea l'intervistato. «Ci sono anche spettatori che si godono una partita combattuta, chiunque vinca, e anche il tifoso più accanito può applaudire il bel gioco o salutare il coraggio di un ciclista che arriva da dietro per sfidare i leader. Per tutta la durata di una partita o di una gara è possibile dimenticarsi del resto del mondo».
Cosa fa lo sport in merito alla salvezza dell'anima?
Ma la religione – chiede il giornalista – permette di pregare per salvare la propria anima, cosa può fare lo sport in merito? «Credo che lo sport possa offrire due tipi di salvezza», risponde il 78enne. «Una salvezza collettiva, come quella che cercano i tifosi di una squadra di calcio, per esempio, e una salvezza individuale, quella a cui ambiscono i corridori, i ciclisti o gli alpinisti. Il più fervente tifoso di calcio si identifica totalmente con il club e la comunità di sostenitori. Spera che la salvezza arrivi attraverso la costante fedeltà alla propria squadra del cuore, anche di fronte a ripetute sconfitte. Ci sono stati tifosi che hanno chiesto che le loro ceneri fossero sparse sul campo di calcio! L'atleta individuale, invece, trova la sua salvezza nell'autodisciplina, nel controllo dell'alimentazione, nella conquista del dolore e nel godimento della natura».
Che dire dei principali protagonisti del nuovo culto? «So bene che in Argentina esiste una Chiesa di Maradona, ma direi che gli idoli dello sport non sono visti tanto come divinità, quanto come superuomini», osserva McLeod. «Vale la pena notare, tra l'altro, che ad oggi sono pochissime le donne che hanno raggiunto lo stesso livello di adorazione. Alcuni campioni sono quindi considerati superuomini, a volte santi e spesso simboli: di una nazione, di una città, di un gruppo etnico o di una religione. Per le minoranze religiose o etniche, o per le nazioni più povere e meno potenti, le stelle dello sport possono diventare l'incarnazione della loro comunità, e milioni di persone possono identificarsi con i loro trionfi».
Le religioni non combattano più lo sport
«Le religioni hanno smesso di combattere lo sport molto tempo fa», prosegue lo specialista. «Anche quando i cristiani condannavano lo sport della domenica e gli ebrei quello del sabato raramente si trattava di una condanna dello sport in quanto tale. La cronologia varia ovviamente da paese a paese, ma in Inghilterra gli attacchi allo sport hanno raggiunto il picco tra il 1800 e il 1850. Tra il 1850 e il 1890, le chiese discussero il loro rapporto con lo sport e l'opinione divenne gradualmente favorevole ad esso. Dal 1890 circa, le parrocchie protestanti e cattoliche offrono ai loro fedeli un ampio programma sportivo. Tuttavia, negli anni '60, la forte crescita dello sport domenicale ha rappresentato una sfida per le chiese. In precedenza, i cristiani potevano praticare sport il sabato e andare in chiesa la domenica. Poi è stato necessario fare una scelta. Per i giovani, lo sport ha sostituito le scuole domenicali offerte dalle chiese».
Lo sport il nuovo oppio dei popoli?
Quindi lo sport, parafrasando Karl Marx (1818-1883), è il nuovo oppio dei popoli? «Marx scriveva esattamente: 'La religione è il sospiro della creatura oppressa, il cuore di un mondo senza cuore, in quanto è lo spirito di condizioni sociali da cui lo spirito è escluso. È l'oppio dei popoli'. Secondo Marx, la religione offre quindi una critica implicita delle condizioni di esistenza, ma non dà alle persone i mezzi per sfidare efficacemente la loro condizione sociale. Marx suggerisce che la religione indebolisca la volontà di lotta del popolo. Su questo punto si sbagliava: la religione spesso stimola l'azione sociale o politica, ma non necessariamente nel modo in cui Marx intendeva».
«Lo stesso non si può dire dello sport: può offrire un momento di tregua dalle prove della vita, ma non c'è nulla nello sport che incoraggi l'azione politica o, al contrario, all'apatia politica», argomenta McLeod. «Lo sport in sé non è né di destra né di sinistra. Sebbene i governi autoritari spesso promuovano lo sport nella speranza che metta a tacere le persone, gli appassionati di sport non sono più o meno impegnati politicamente di qualsiasi altro cittadino», conclude lo storico.