Collezione d'arte Fondazione Bührle, Lukas Gloor lascia a fine anno

cp, ats

14.11.2021 - 11:09

Lukas Gloor, responsabile della Fondazione Collezione Bührle, davanti a un dipinto di Claude Monet esposto al Kunsthaus.
Lukas Gloor, responsabile della Fondazione Collezione Bührle, davanti a un dipinto di Claude Monet esposto al Kunsthaus.
Keystone

Lukas Gloor, attuale direttore della Fondazione Collezione Bührle, ha deciso che lascerà a fine anno.

14.11.2021 - 11:09

La causa? Un'indagine indipendente sull'origine della collezione Bührle, sospettata di includere dipinti sottratti dai nazisti a proprietari ebrei, chiesta dalla città e dal cantone di Zurigo.

Una decisione che vede in disaccordo Lukas Gloor il quale minaccia di ritirare le opere dal Kunsthaus di Zurigo dove sono esposte. «Il mio compito è finito. I quadri si trovano al Kunsthaus», ha dichiarato Gloor in un'intervista al «Sonntagsblick», spiegando i motivi che l'hanno spinto a lasciare.

Nel corso della Seconda guerra mondiale, e nei decenni seguenti, il fabbricante di armi Emil Bührle aveva ammassato una fortuna, diventando l'uomo più ricco della Svizzera. Nel novembre 2020, uno studio dell'Università di Zurigo aveva attestato il forte legame tra la sua attività di produttore di armi e la sua collezione d'arte.

È noto che Bührle acquistò nel corso del conflitto un certo numero di dipinti, soprattutto maestri impressionisti, di proprietà di un facoltoso commerciante d'arte francese di religione ebraica. Tali opere erano state confiscate dalle autorità tedesche dopo l'occupazione del paese da parte della Wehrmacht.

Alla fine della guerra fu costretto a restituirle, venendo anche indennizzato dalla Confederazione. Bührle continuò tuttavia a fare incetta di opere anche dopo la guerra, un'attività che aveva incominciato già negli anni '30.

«Spiegata la provenienza delle opere»

Al Kunsthaus di Zurigo, dove le opere sono state portate, i visitatori possono farsi un'idea sull'origine e la storia dei dipinti della collezione Bürhle. «Al momento, ogni dipinto è accompagnato da un codice QR in cui viene spiegata la provenienza dell'opera, un ottimo modo per fare chiarezza», ha spiegato Gloor al domenicale. Tuttavia, a suo parere la collezione non dovrebbe diventare una sorta di monumento alla persecuzione nazista. Ciò non renderebbe giustizia alle opere esposte.

Oltre a ciò, in seguito alle critiche di alcuni storici, non soddisfatti delle ricerche sulla provenienza eseguite dalla fondazione, la città e il cantone di Zurigo esigono ora che il Kunsthaus comunichi ancora meglio il contesto in cui è nata e si è sviluppata la collezione Bührle.

In particolare, domandano una valutazione indipendente delle ricerche svolte finora sulla provenienza delle opere esposte e un ampliamento della sala destinata alla documentazione.

Una decisione andata di traverso a Gloor. L'idea originale era «che il Kunsthaus si occupasse della nostra ricerca sulla provenienza», ha detto. «Ma ora si è creata una nuova situazione a causa della decisione della città che interferisce con l'autonomia del Kunsthaus». Se la città di Zurigo intende dettare al Kunsthaus come la collezione Bührle debba essere spiegata al pubblico, allora «non possiamo più essere d'accordo».

Gloor ha detto di non attendersi nulla di «materialmente nuovo» da una valutazione esterna. Il dibattito, a suo avviso, si sposterà sulla questione di chi farà la valutazione.

Nuova valutazione indipendente

La decisione di Gloor di lasciare avviene dopo che l'11 novembre scorso la Fondazione Collezione Emil Bührle si era detta a favore di una valutazione indipendente delle sue ricerche – 20 anni di lavori – sulla provenienza delle opere d'arte esposte al Kunsthaus di Zurigo.

In una comunicato in cui si precisava di accogliere una richiesta in tal senso della città di Zurigo, la Fondazione scriveva che la collezione di Emil Bührle (1980-1956) era «una delle collezioni d'arte private meglio documentate al mondo».

La fondazione si era altresì detta convinta di aver proceduto al chiarimento sulla provenienza delle opere nella maniera più completa. Le ricerche sono state effettuate da una specialista rinomata che ha lavorato in questo ambito con numerosi musei d'importanza internazionale, aveva precisato la Fondazione.

Stando al comunicato, nella collezione non esiste alcun caso non risolto di arte depredata. L'affermazione del «Livre noir Bührle» (Libro nero Bührle) pubblicato nel 2015 secondo la quale esiste un sospetto per almeno 20 opere è «falsa ed è stata confutata in maniera esaustiva».

Anche le cinque opere che entrano nella cosiddetta categoria dell'"arte in fuga», cioè delle opere trasferite in Svizzera dai loro proprietari dopo il 1933 e messe sul mercato elvetico, risultano essere giunte in possesso di Emil Bührle legalmente e al prezzo di mercato.

Il 10 di novembre la città e il cantone di Zurigo hanno chiesto informazioni approfondite sull'origine dei quadri esposti al Kunsthaus. Richiedendo inoltre il coinvolgimento di esperti indipendenti per valutare le ricerche fatte dalla collezione.

Emil Bührle: uno spietato opportunista

Nel settembre 2020, l'Università di Zurigo aveva presentato uno studio commissionato dalla città e dal cantone. La conclusione dello storico Matthieu Leimgruber è chiara: la creazione della collezione di livello mondiale è stata resa possibile dall'immensa fortuna accumulata con il materiale bellico.

Lo studio di 234 pagine dipinge Emil Bührle come uno spietato opportunista in termini di affari. La sua azienda Werkzeugmaschinenfabrik Oerlikon (WO) ha fornito armi antiaeree alla Germania nel periodo fra i due conflitti mondiali. Nel corso della guerra poi, Bührle vendette dapprima cannoni agli Alleati per 60 milioni di franchi e in seguito, dopo la capitolazione della Francia, tornò a concludere accordi con i tedeschi e le potenze dell'Asse, per cifre intorno ai 540 milioni. Quando la sconfitta dei nazisti iniziò a profilarsi, Bührle scaltramente si schierò di nuovo con gli Alleati.

Per Leimgruber, è evidente che Emil Bührle ha approfittato della situazione degli ebrei perseguitati e in fuga per costituire la sua collezione d'arte. Non era nazista ma ha concluso affari con il regime nazista per opportunismo.

Domenica scorsa, gli ex membri della Commissione Bergier, che indagò sul ruolo della Svizzera nella Seconda Guerra mondiale, hanno pure rivolto diverse richieste. Tra queste la valutazione delle ricerche di provenienza effettuate finora, ora reclamata anche dalla città e dal cantone, nonché la nomina di esperti indipendenti. La situazione attuale è «un affronto alle potenziali vittime dei beni saccheggiati», hanno detto gli ex membri della Commissione Bergier.

cp, ats