I più letti del 2019Josef Sachs: «Tutti hanno dentro di sé una propensione alla violenza»
di Silvana Guanziroli
2.5.2019
Ha a che fare con i peggiori crimini. Lo psichiatra giudiziario Josef Sachs esamina la mente degli assassini e dei grandi criminali. Intervistato da «Bluewin», spiega perché, malgrado tutto, non è favorevole al carcere a vita.
I casi di cui si occupa suscitano molto fermento in Svizzera. I crimini sono sanguinosi, brutali e fuori dagli schemi. I fatti sono spesso difficili da sopportare, a volte anche per poliziotti abituati al peggio. Per Josef Sachs, psichiatra giudiziario argoviese, si tratta di normale routine. Il caso più grave di cui si sia mai occupato è quello del quadruplo omicidio di Rupperswil (Canton Argovia). Era uno dei due periti incaricati e ha dovuto affrontato il dilemma: è stato un disturbo mentale ad aver spinto l'autore del crimine a passare all'azione? E se sì, era curabile?
«Bluewin» ha incontrato il perito psichiatra nel suo studio a Brugg, nel Canton Argovia. L’ex direttore della clinica di psichiatria medico-legale dei servizi psichiatrici d’Argovia non vuole smettere di lavorare, anche dopo essere andato in pensione. «Per me, il lavoro è più una vocazione che un impiego», confida.
Dottor Sachs, le sue perizie forniscono ai giudici le basi per determinare se un criminale debba essere incarcerato o meno. A tale scopo, lei deve confrontarsi con il soggetto in modo intensivo. Riesce davvero ad entrare nella sua testa?
Purtroppo non basta posare uno stetoscopio sulla testa di un individuo per comprendere come funziona. Non è così semplice. Ma ci sono indizi indiretti che mostrano cosa accade nella sua mente. Per ottenerli, analizzo la sua storia, il suo comportamento, le sue affermazioni e il modo in cui le formula.
Di fatto, se un criminale è furbo e conosce i meccanismi, può ingannare gli esperti?
Sì, in colloqui effettuati individualmente è possibile. Più l’individuo oggetto della perizia è intelligente, abile e comunicativo, più può riuscirci. Tuttavia, nessuno può perpetrare a lungo questo inganno, nessuno può recitare una commedia costantemente. Per formulare un giudizio, ottengo perciò delle informazioni da parte di terzi, al fine di sapere come l’individuo agisce al di fuori dei colloqui e come si è comportato in passato.
Lei ha redatto perizie in casi molto difficili e delicati. Si tratta di un’enorme responsabilità. Come gestisce tutto ciò in quanto perito psichiatra?
Con la modestia. Il più grande pericolo che vedo per un perito psichiatra consiste nel darsi delle arie, lasciarsi andare ad affermazioni che non si possono dimostrare e che vanno al di là delle proprie possibilità di comprensione. Ci sono situazioni nelle quali i giudici tentano di far ricadere sullo psichiatra decisioni che risultano difficili per loro. Ma io non posso decidere al posto di un giudice se far incarcerare o meno un individuo. Non posso che apportare una valutazione sul rischio di recidiva.
Questa ripartizione dei compiti deve essere strettamente rispettata. Se le cose si confondono o si va al di là delle proprie responsabilità, allora diventa pericoloso e si passano notti in bianco.
Lei è stato uno dei due esperti incaricati del caso Rupperswil. Questo quadruplo omicidio ha suscitato scalpore in tutta la Svizzera. Lei come si sentiva?
Il caso è unico nella sua brutalità e nella sua complessità. In effetti, non ho mai visto un altro crimine di questa ampiezza nel corso della mia carriera. Le aspettative per la perizia erano molto elevate e questo fatto l’ho sentito molto. C’era anche un secondo perito. E in questi casi, ovviamente, ci si chiede sempre se l’altro professionista arriverà alle stesse conclusioni.
Un secondo perito? È piuttosto inusuale.
Quando c'è in ballo una condanna all'ergastolo, come in questo caso, vengono richieste due perizie indipendenti. È ciò che impone la legge. Ma nei fatti è un evento raro. I periti psichiatri non hanno diritto di parlarsi. È stato particolare perché conoscevo personalmente l’altro perito. Non avevamo il diritto di scambiarci neppure una parola in merito al caso. Ad oggi, non ho ancora letto la sua valutazione.
La situazione è stata difficile anche dopo la pubblicazione della perizia. Sono stati proferiti insulti e minacce, per via delle mie conclusioni, secondo le quali non si poteva escludere una rivalutazione per l’autore dei fatti. Capisco tuttavia che ciò possa non essere compreso.
Assieme ad altri elementi, questa perizia ha permesso al giudice di pronunciarsi contro l'internamento a vita di T. N. L’articolo del codice a cui si fa riferimento è in vigore dal 2004, a seguito dell’adozione di un'iniziativa popolare. Lei cosa ne pensa?
L’ergastolo è secondo me del tutto inappropriato. Sono convinto che la norma sia stata accettata dagli elettori perché la gente collega la detenzione al crimine. L’idea era che un individuo autore di un crimine di tale gravità dovesse perdere il diritto alla libertà. Ma non è questo che indica la legge. In questo caso l’ergastolo è legato ad un’ipotesi. Ma è impossibile effettuare una previsione proiettandosi di qui a parecchi decenni nel futuro: in effetti, si tratta spesso di criminali piuttosto giovani. Semplicemente in questo caso manca una metodologia: non abbiamo la sfera di cristallo per sapere come un individuo si comporterà tra 30 o 40 anni. È la realtà.
È per questo che non ha escluso una rivalutazione della pena nel caso di T. N.?
Sì, esattamente. A ciò si aggiunge il fatto che il disturbo della personalità individuato nel suo caso è fondamentalmente curabile. In queste situazioni, la rivalutazione non può essere esclusa se non si è mai tentato di trattare il disturbo stesso.
In quali casi è stato contento di non essere stato interpellato come perito?
Tutti i casi in cui le vittime sono bambini sono gravi. Non avrei certamente voluto fornire la mia perizia nel caso Dutroux in Belgio. La questione era complicata perché sua moglie era implicata nei crimini.
È difficile giudicare anche quando l’accusato non ha confessato. Come nel caso di Ignaz Walker nel Canton Uri. In una situazione simile, non è possibile discutere del crimine. Il perito psichiatra non ha dunque alcun mezzo per ricostruire lo svolgimento dei fatti.
Quanto dura una perizia di questo genere?
Una perizia completa richiede circa sei mesi. Si tratta di numerosi passaggi differenti che funzionano in parallelo. Studio i dossier, chiedo i rapporti sui trattamenti esistenti, ascolto la famiglia e i conoscenti dell’individuo. Per il caso di Rupperswil, mi ci sono volute circa cento ore.
È possibile determinare il numero di grandi criminali che soffrono di un disturbo?
Se si esamina la popolazione carceraria, esiste una percentuale elevata di disturbi della personalità. Nell’ordine di circa il 50% dei detenuti, secondo alcuni studi. I disturbi psichiatrici molto gravi, come la schizofrenia, sono nettamente meno frequenti, naturalmente.
Quali sono le patologie più comuni?
Ci sono appunto i disturbi della personalità, ma anche le dipendenze e il TDAH (Disturbo da deficit di attenzione con o senza iperattività, ndr).
Nel corso della sua carriera, ha avuto a che fare anche con assassini che non soffrivano di alcun disturbo e che hanno agito con piena cognizione di causa?
Sì, mi è capitato. È stato ad esempio il caso di un ragazzo di poco più di 18 anni che ha ucciso suo padre. La famiglia era di origine turca e il padre voleva che la figlia sposasse un determinato uomo. Lei ne aveva scelto un altro, così il padre ha ordinato a suo figlio di uccidere questo ragazzo. Il figlio non ha voluto farlo e non ha trovato altra soluzione se non quella di ammazzare il proprio padre.
Come può sorgere nella mente di alcuni l’idea di uccidere?
Nella psichiatria medico-legale, distinguiamo due forme di violenza. Quella reattiva si riferisce a individui che uccidono sull’onda di emozioni, che reagiscono in modo impulsivo e non programmato ad una situazione. La violenza strumentale fa riferimento invece a individui che uccidono intenzionalmente, in modo deliberato e a sangue freddo. Generalmente, il criminale immagina a lungo il proprio modus operandi. Quando si riflette spesso su qualcosa, le barriere cadono e il carattere orribile del crimine si dissolve.
I criminali banalizzano dunque il loro delitto?
Sì. Un atto di violenza che è già stato pensato mille volte non sembra più così grave rispetto ad un crimine che viene ipotizzato per la prima volta.
Secondo la sua esperienza esiste l’individuo davvero cattivo?
Esiste il sadico. Si tratta in questo caso di un individuo che si compiace di fronte alla sofferenza altrui. Ma non definirei questo individuo cattivo. Per questo termine, occorre chiedere ad un teologo. È un’altra concezione. Ma se per cattiveria intende la propensione di un individuo alla violenza, allora devo dire che esiste in ciascuno di noi. La maggioranza è semplicemente in grado di mantenerla sotto controllo. Se avessimo avuto un altro contesto sociale in Svizzera, allora posso immaginare che anche da noi ci sarebbe una maggiore propensione alla violenza. Quest’ultima è qualcosa che fa parte dell’uomo, la sua concretizzazione dipende dal contesto.
Prima di incontrare un criminale, lei legge i dossier che riportano le dinamiche esatte del crimine. Come fa ad approcciarsi all’individuo in modo imparziale?
Ciò è fortemente correlato all’esperienza e alla formazione. Occorre imparare a gestire questo genere di contatto. Questo mestiere non lascia spazio ai giudizi morali. Le perizie devono essere effettuate con la testa e non con il cuore. Si tratta di capire ciò che è accaduto.
Tuttavia, mi sorprende sempre vedere a che punto i criminali violenti possano risultare normali nel corso di un incontro diretto, anche quando non me lo sarei aspettato dopo aver studiato il dossier. E ciò, malgrado la mia esperienza. È per questo che è importante non lasciarsi guidare dalle emozioni e dalla compassione, quanto piuttosto entrare in una modalità cognitiva e intellettuale al fine di poter analizzare tutto correttamente.
Le sono capitate situazioni pericolose nel corso di colloqui con dei criminali?
Non in prigione. Ciò grazie al fatto che sono protetto attraverso un vetro dai detenuti pericolosi oppure ho un pulsante d’allarme da attivare all'occorrenza.
In questo secondo caso, lei è solo nella stanza con l’accusato?
Sì, non ci sono guardie presenti. Una volta, però, ho testato per una svista la velocità con la quale entrano nella stanza in caso di emergenza. Ho involontariamente premuto il bottone. Nel giro di pochi secondi, cinque o sei uomini robusti erano nella stanza. Non era per nulla giustificato a mio avviso.
Lei dice che il contesto influisce sulla violenza. Qual è l’importanza dell’educazione fornita dai genitori?
Il comportamento di un individuo è in realtà profondamente segnato dall’educazione. Dovete immaginare le cose in questo modo: prendete un bambino di tre anni che ha fondamentalmente una forte propensione alla violenza. Graffia, morde e colpisce quando non ottiene qualcosa. In seguito, fino alla pubertà, il bambino impara a risolvere i conflitti in modo diverso. Se in quel momento, i genitori non insegnano ai loro figli che a volte occorre rinunciare, aspettare o discutere su alcune cose, essi resteranno incapaci di risolvere i conflitti senza ricorrere alla violenza. Dall’inizio della pubertà, i bambini si lasciano influenzare meno facilmente. Oltre all’educazione, tuttavia, anche il carattere gioca un ruolo importante. Gli psichiatri parlano di resilienza, di resistenze psicologiche. Questa facoltà permette ai bambini di avere molti successi e di diventare molto socievoli, malgrado un’infanzia catastrofica. Al contrario, ce ne sono altri che crescono molto protetti e che sono semplicemente incapaci di cavarsela.
In realtà, lei è andato in pensione tre anni fa. Ma lavora sempre a tempo pieno.
Per me il lavoro è più una vocazione che un impiego. È per questo che non ho ancora voglia di mollare così presto. Questo lavoro mi piace sempre moltissimo. È una parte relativamente importante di me, anche se mi diverto anche con qualche passatempo. Ne abbiamo bisogno, altrimenti è difficile digerire tutte le nostre esperienze.
I criminali, le scene del crimine sanguinose. Lei ha esplorato i bassifondi dell’essere umano. Crede ancora nella bontà dell’uomo?
Sì, assolutamente. E anche molto. Tuttavia, devo fare attenzione a non avere soltanto un’impressione negativa delle persone. Spesso ho a che fare solo con individui che hanno commesso crimini gravi o che hanno reiterato i delitti. Ma a volte vedo anche persone che hanno risposto molto bene ai trattamenti. Ciò dimostra che in ciascuno c’è come un nucleo buono. Ed è ciò che conta per me.
La sala d'attesa del policlinico era piena zeppa di persone che aspettavano notizie dai loro parenti davanti al pronto soccorso del John H. Stroger, Jr. Hospital of Cook County.
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Al Capone, soprannominato «Scarface», il capo americano della malavita di Chicago.
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Elizeth Arguelles (23 anni) posa davanti al cortile di una scuola di Chicago. E' già sopravvissuta a due aggressioni con arma da fuoco — e si impegna ormai nella pacificazione dei rapporti tra gli adolescenti.
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Tannika Humphries (a destra), madre di una ragazza uccisa con una pallottola vagante, piange la sua morte davanti a una chiesa di Chicago.
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Alcuni poliziotti perlustrano il luogo in cui diverse persone sono state uccise.
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Elizabeth Ramirez (a destra), che ha perso suo figlio in una sparatoria sette anni fa, ha fondato l'associazione «Parents for Peace and Justice» con Robert Torres (a sinistra). Questa associazione tenta di salvare i bambini dalla strada. Essa cerca ugualmente di apportare un po' di conforto ai genitori di ragazzi assassinati.
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Elizabeth Ramirez, che ha perso suo figlio in una sparatoria sette anni fa, partecipa a una «festa della pace», organizzata per mostrare agli adolescenti che la violenza non conduce a niente.
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