Regno Unito Il governo laburista non obietta al mandato d'arresto di Netanyahu

SDA

26.7.2024 - 17:26

Il governo laburista di Keir Starmer rinuncia a porre obiezioni alla Corte Penale Internazionale (Cpi) contro i mandati d'arresto spiccati a maggio nei confronti del premier Benyamin Netanyahu e del suo ministro della Difesa, Yoav Gallant.
Il governo laburista di Keir Starmer rinuncia a porre obiezioni alla Corte Penale Internazionale (Cpi) contro i mandati d'arresto spiccati a maggio nei confronti del premier Benyamin Netanyahu e del suo ministro della Difesa, Yoav Gallant.
KEYSTONE

Tecnicamente è solo un gesto formale, ma politicamente – e nella percezione di Israele – è uno schiaffo in piena regola dell'alleato britannico, che va a sommarsi alla fibrillazioni con gli Stati Uniti, unico patrono davvero vitale.

Il governo laburista di Keir Starmer ha infatti deciso di rinunciare a porre obiezioni procedurali dinanzi alla Corte Penale Internazionale (Cpi) contro i mandati d'arresto spiccati a maggio nei confronti del premier Benyamin Netanyahu e del suo ministro della Difesa, Yoav Gallant, oltre che dei leader di Hamas, accusati di crimini di guerra e crimini contro l'umanità nella Striscia di Gaza.

L'indicazione, anticipata dal New York Times, è stata confermata oggi da una portavoce di Downing Street, dopo l'ipotesi di un passo del genere avanzata mesi fa, ma mai finalizzata, dalla compagine Tory di Rishi Sunak.

A dispetto della protesta stizzita fatta circolare già sulla base delle anticipazioni del Nyt dallo Stato ebraico, che per bocca d'un funzionario s'era detto «profondamente deluso da una decisione sbagliata», arrivando ad evocare uno sfregio «al diritto delle democrazie di combattere il terrorismo».

Una forma di rispetto «dell'indipendenza» della CPI

L'idea di mettere agli atti un'obiezione era nata come «una proposta del governo precedente, non formalizzata prima delle elezioni, che questo governo non intende perseguire data la nostra posizione consolidata secondo cui spetta solo alla Corte decidere», ha replicato la portavoce di number 10.

Seppur lasciando intendere che ciò non significa un avallo delle motivazioni degli ordini d'arresto, ma solo una forma di rispetto «dell'indipendenza» della Cpi, massimo organismo giudiziario internazionale frutto di una convenzione a cui il Regno ha a suo tempo aderito.

Tanto più che il nuovo esecutivo del Labour è guidato da un uomo di legge come Starmer e crede «fermamente nello stato di diritto come nella separazione dei poteri». E che i mandati in questione recano la firma di un giurista britannico di chiara fama, nella persona del procuratore capo, Karim Khan.

L'intenzione di rivolgersi al fronte interno

Dietro la scelta ci potrebbe essere del resto anche l'intenzione recondita di rivolgersi al fronte interno. Segnato nei mesi scorsi da non poche critiche alla leadership moderata di sir Keir sull'allineamento sostanziale all'ex governo conservatore tenuto a lungo rispetto al conflitto di Gaza.

Un atteggiamento ritoccato tuttavia dopo la vittoria nelle elezioni del 4 luglio (giunta a valanga in termini di seggi, non di voti, al di là del tracollo Tory), con toni almeno verbalmente più decisi sulla richiesta a Israele di «un cessate il fuoco immediato» affidati al neoministro degli Esteri, David Lammy.

Quasi a voler rispondere a certi segnali negativi incassati a livello elettorale – vittoria complessiva a parte – nei territori a più forte presenza di britannici di fede musulmana (circa 4 milioni in tutto) e in varie aree tradizionalmente progressiste del Regno. Con la perdita qua e là di qualche seggio – sulla carta blindato – a favore di indipendenti di sinistra e candidati «filo-palestinesi».

E addirittura il pesante calo di consensi personali patito dallo stesso Starmer nel suo collegio di deputato londinese di Holborn and St Pancras, a causa della concorrenza di Andrew Feinstein: attivista di origini sudafricane e di famiglia ebraica, oltre che in gioventù militante contro l'apartheid in Sudafrica e poi deputato anti-corruzione dell'African National Congress prima di trasferirsi in Gran Bretagna, presentatosi apertamente alle urne sotto insegne «pro Gaza».