Il blocco petrolifero imposto alla Libia da Khalifa Haftar sembra puntare all'indebolimento del premier Fayez al-Sarraj di cui chiede lo sfratto da Tripoli facendo parlare le tribù.
Queste sono un elemento-chiave del conflitto libico che divampa in barba alla conferenza di Berlino.
È quanto emerge da valutazioni di analisti e recenti dichiarazioni di un capo tribale mentre il generale ha fatto un tentativo di sfondare sulla via verso Misurata, la più potente città libica e alleata della Tripoli di Sarraj, e l'auspicato embargo sulle armi è un colabrodo anche a detta dell'Onu.
Da una settimana il generale ha fatto chiudere porti e due oleodotti sotto il suo controllo causando un crollo della produzione da 1,22 milioni a 285 mila barili al giorno con un danno economico calcolato in quasi 320 milioni di dollari.
Con questa mossa, Haftar punta fra l'altro a «esercitare pressione sul Gan», il governo di accordo nazionale di Sarraj, ha sostenuto Dario Cristiani, analista Iai (Istituto affari internazionali) ora attivo per il German Marshall Fund (Gmf) di Washington.
E una «rinuncia a riconoscere il governo di Sarraj» è proprio la «più importante» delle richieste avanzate dalla tribù al-Zaweya, a nome anche di altri clan, per consentire una riapertura dei giacimenti. Anche se la Compagnia petrolifera nazionale libica (Noc) accusa ufficialmente forze di Haftar – tra cui le Guardie petrolifere «Pfg» – di aver imposto il blocco, queste ultime sostengono che l'operazione è stata decisa da «tribù libiche».
Le dimissioni di Sarraj erano state un tema strisciante nei corridoi della conferenza berlinese, con tanto ti toto-nomi sul possibile successore, dal ministro dell'Interno Fathi Bashagha e al vicepremier Ahmed Maitig.
Il braccio di ferro sul petrolio – e indirettamente sulla sorte del premier assediato non solo dal generale ma anche da parte delle riottose milizie che formalmente lo sostengono – si consuma mentre le forze di Haftar hanno cercato di prendere un centro, Abugrein, situato all'estremità sud-orientale, ma pur sempre nel territorio municipale, di Misurata: in giornata i filo-governativi hanno sostenuto di aver ripreso il controllo della zona e di un'altra, quella di Zamzam, anch'essa annunciata come presa dalle milizie del generale.
A Tripoli intanto continuano a morire civili: alla cifra di oltre 280 fornita il mese scorso dall'Onu, va aggiunto un meccanico marocchino colpito da uno dei razzi sparati dalle milizie di Haftar nei pressi dell'aeroporto in funzione, il «Mitiga» a 8 km dal centro. Ci sono stati anche sette feriti, tra cui almeno due bambini.
Sempre più violato dunque il cessate il fuoco che era stato presentato come un successo della conferenza di Berlino e anche ignorato è l'accordo a non alimentare in conflitto con armi e combattenti: l'Onu ha denunciato «continue e palesi violazioni dell'embargo» anche nell'ultima settimana da parte di Stati che hanno partecipato al summit. Le Nazioni unite non hanno fatto nomi, ma la forza che addirittura ha firmato un accordo di cooperazione militare con Tripoli è la Turchia e dichiara apertamente di aver inviato decine di «addestratori e consiglieri militari».
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