Libertà d'espressione Il Messico si batte per la liberazione di Julian Assange

SDA

16.9.2022 - 21:17

Il Messico si conferma il principale alleato di Julian Assange nella sua battaglia per la libertà.

John Shipton e Gabriel Shipton, rispettivamente il padre e il fratello di Julian Assange, partecipano all'evento «Freedom for Julian Assange: a global struggle» a città del Messico il 14 settembre. 
John Shipton e Gabriel Shipton, rispettivamente il padre e il fratello di Julian Assange, partecipano all'evento «Freedom for Julian Assange: a global struggle» a città del Messico il 14 settembre. 
KEYSTONE/AP Photo/Marco Ugart

Si trasformando in un Paese megafono della campagna a favore del giornalista e fondatore di Wikileaks, ora in attesa della decisione dell'Alta Corte britannica per la sua estradizione verso gli Stati Uniti dove rischia una pena di 175 anni di carcere per aver svelato documenti del Pentagono sulle violenze delle forze armate Usa in Afghanistan e in Iraq.

Da Città del Messico giungono infatti gli appelli di libertà dei familiari dell'attivista australiano, invitati nel Paese latinoamericano dal presidente Andres Manuel Lopez Obrador per le celebrazioni della festa di Indipendenza messicana.

Con l'occasione, la sindaca della capitale, Claudia Sheinbaum, mercoledì ha consegnato ai familiari di Assange le chiavi della città. E giovedì, tra gli ospiti d'onore affacciati dai balconi del Palacio Nacional per la cerimonia del Grido dell'Indipendenza messicana, c'erano anche John e Gabriel Shipton, rispettivamente padre e fratello del fondatore di Wikileaks.

Una terra di «libertà di espressione»

La scelta del Messico di ospitare i familiari di Assange comunica un Paese che vuole raccontarsi come terra di «libertà di espressione e progressista» – come indicato da Sheinbaum alla consegna delle chiavi della città. Ma è soprattutto un messaggio a Washington e a Londra mentre il tempo stringe sull'epilogo del caso dell'attivista australiano, detenuto nel Regno Unito dal 2019.

Il Messico è diventato il principale sostenitore internazionale di Assange e della sua famiglia con Lopez Obrador che in più occasioni ha chiesto al presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, di far cadere le accuse contro l'attivista australiano.

«Se lo portano negli Stati Uniti e lo condannano, bisognerà smantellare la Statua della Libertà», ha polemizzato il leader messicano, che più volte ha offerto asilo politico ad Assange. «L'invito in Messico è un tesoro che teniamo vicino ai nostri cuori», ha detto John Shipton. «Certo, sarebbe felice di vivere a Città del Messico, di essere di nuovo libero. E c'è molto amore per Julian in Messico e in Sud America».

Proteste a Città del Messico

Nei giorni scorsi, i familiari di Assange hanno promosso alcune proteste fuori dalle ambasciate degli Stati Uniti e del Regno Unito a Città del Messico, e hanno tenuto incontri con difensori dei diritti umani e parlamentari. La loro speranza è che altri leader latinoamericani seguano l'esempio di López Obrador.

«L'America Latina è in prima linea nella difesa di Julian Assange da 12 anni. E' una roccia su cui poggia il nostro progetto», ha detto Gabriel Shipton in un'intervista al quotidiano messicano Milenio. «Consideriamo López Obrador una specie di apripista», ha aggiunto.

Le accuse di ipocrisia dalle ONG

Ma le ong accusano l'esecutivo messicano di ipocrisia. Dietro la bandiera Assange ci sono infatti i drammatici numeri nazionali delle violenze contro i giornalisti.

L'ong Articolo 19 ha affermato che l'invito del Messico ai parenti di Assange dovrebbe tradursi in «un miglioramento delle condizioni di sicurezza per il giornalismo» nel Paese, dove solo quest'anno 16 reporter, tre operatori dei media e il parente di un cronista sono stati assassinati.