Italia Operai pagati 150 euro al mese per un lavoro da schiavi 

ATS

21.11.2019 - 22:02

Nei pressi di Ivrea (foto) due imprenditori cinesi pagavano , oltretutto in nero, circa 150 euro al mese una trentina di operai, cinesi, italiani e romeni, che erano sottoposti a condizioni di lavoro disumane e turni dalle nove del mattino a mezzanotte senza pausa.
Nei pressi di Ivrea (foto) due imprenditori cinesi pagavano , oltretutto in nero, circa 150 euro al mese una trentina di operai, cinesi, italiani e romeni, che erano sottoposti a condizioni di lavoro disumane e turni dalle nove del mattino a mezzanotte senza pausa.
Source: KEYSTONE/EPA ANSA/ALESSANDRO DI MARCO

Condizioni di lavoro disumane, paghe da fame, turni massacranti: nei pressi di Ivrea (Torino), una trentina di operai cinesi, italiani e romeni erano sottoposti da parte di due imprenditori cinesi a condizioni di sfruttamento nel più totale degrado.

Lo ha scoperto la guardia di finanza di Torino ispezionando tre capannoni di Agliè, Cuceglio e Montalenghe, a due passi da Ivrea.

Le indagini dei finanzieri hanno portato alla luce un'impresa che, per un salario di circa 30 centesimi l'ora, sfruttava gli operai lasciandoli vivere in condizioni disumane.

L'azienda sotto casa dei genitori

A Montalenghe, sotto casa dei genitori dei due imprenditori coinvolti, tra lettini per riposare e una cucina improvvisata, erano state installate le macchine per cucire e accatastate montagne di pellami pronti per la lavorazione. L'azienda, infatti, confezionava prodotti destinati a noti marchi automobilistici internazionali.

I finanzieri hanno scoperto che le retribuzioni erano decisamente inferiori a quelle spettanti dai contratti collettivi: gli operai incassavano, oltretutto in nero, circa 150 euro al mese (165 franchi svizzeri). I titolari erano in grado di sfruttare il lavoro dei dipendenti, molti dei quali loro connazionali, violando le più basilari norme sull'orario di lavoro, sul riposo settimanale e sulle ferie.

Norme in materia di sicurezza e igiene carenti

Carenti, come accertato dagli investigatori, anche le norme in materia di sicurezza e igiene. Nei capannoni non c'era nemmeno l'impianto di riscaldamento. I lavoratori erano inoltre continuamente monitorati a distanza attraverso un sistema di videosorveglianza.

A Montalenghe venivano fatti alloggiare direttamente sul posto di lavoro. Con lettini, fornelletti elettrici o a gas, bagno in comune, spesso non funzionante, tanto che i lavoratori erano costretti ad espletare i bisogni dentro buste di plastica. Nei tre capannoni la luce naturale era oscurata da pannelli che impedivano la visuale, anche per impedire ad occhi indiscreti di curiosare all'interno.

I dipendenti iniziavano a lavorare alle nove del mattino e terminavano a mezzanotte, senza alcun tipo di pausa. Era consentito al massimo un pasto consumato in mezzo a scatoloni e macchinari.

Stabilimenti sigillati, imprenditori sotto accusa

Ora gli stabilimenti sono stati sigillati. I due imprenditori cinesi, una donna di 28 anni e un uomo di 26, dovranno rispondere di sfruttamento del lavoro e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.

Tuttavia gli accertamenti della procura di Torino non sono ancora finiti: vista la particolare situazione in cui lavoravano i trenta dipendenti dell'azienda non è escluso che nei prossimi giorni la posizione dei due imprenditori si aggravi, fino all'accusa di riduzione in schiavitù, reato che prevede una pena sino a 20 anni di carcere.

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