Guerra in Medio Oriente ONU a Israele: «La fame come un'arma a Gaza è un possibile crimine di guerra»

SDA

28.3.2024 - 21:18

Un aereo lancia aiuti umanitari sul nord della Striscia di Gaza.
Un aereo lancia aiuti umanitari sul nord della Striscia di Gaza.
KEYSTONE

L'Onu mette in guardia Israele sulla carestia nella Striscia di Gaza a quasi sei mesi dall'inizio del conflitto: la fame usata come arma è un crimine di guerra.

28.3.2024 - 21:18

L'alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, ha ribadito in un'intervista alla Bbc che Israele ha una responsabilità significativa nella catastrofe umanitaria in corso a Gaza e che esiste un caso «plausibile» che lo Stato ebraico la stia usando come arma: se l'intento di affamare la popolazione della Striscia fosse dimostrato – ha avvertito – questo equivarrebbe a un crimine di guerra.

«Tutti i miei colleghi responsabili di organizzazioni umanitarie – ha incalzato Türk – continuano a dirmi che ci sono ostacoli» sul fronte degli aiuti: «Israele, e i fatti parlano da soli, ne è colpevole in misura significativa. Capisco che occorra fare i controlli, ma questi non possono richiedere giorni e giorni», ha chiarito riferendosi ai camion di aiuti in attesa al valico di Rafah.

L'Aja esorta Israele a «garantire un'assistenza umanitaria urgente»

In una nuova ordinanza nell'ambito del caso aperto dal Sudafrica per l'accusa di genocidio, anche la Corte internazionale di giustizia ha posto l'accento sulla fame che «sta arrivando» a Gaza. E, con una decisione che ha visto concorde anche il giudice israeliano Aaron Barak, ha ordinato a Israele di «garantire un'assistenza umanitaria urgente» ai palestinesi della Striscia dove «è cominciata la carestia».

«Israele – ha spiegato – deve adottare tutte le misure necessarie ed efficaci per garantire, senza indugio, la fornitura senza ostacoli dei servizi di base e dell'assistenza umanitaria necessari».

L'orrore del video in cui un miliziano descrive uno stupro

In Israele intanto hanno suscitato orrore le parole di un miliziano della Jihad islamica che, per la prima volta, ha descritto nel dettaglio lo stupro di una giovane israeliana compiuto nell'attacco del 7 ottobre. Nel video dell'interrogatorio diffuso dall'esercito, Manar Kassem, catturato a Khan Yunis questo mese, ha raccontato di essere entrato in un kibbutz di confine armato di un kalashnikov e di una bomba.

Alla vista della giovane su un sofà, ha aggiunto, «sono stato posseduto dal diavolo, l'ho fatta stendere, ho cominciato a spogliarla e ho fatto quello che ho fatto. L'ho stuprata».

L'ammissione del miliziano ha provocato anche la reazione del ministro degli Esteri israeliano Israel Katz. Postando su X il video dell'interrogatorio, si è rivolto verso il segretario generale dell'Onu che Israele ha accusato più volte di aver sottovalutato le denunce degli stupri del 7 ottobre: «Antonio Guterres guarda e vergognati».

Israele sta preparando l'offensiva a Rafah

Al 174esimo giorno di guerra, il premier Benyamin Netanyahu ha confermato che Israele sta preparando l'offensiva a Rafah e che invierà una delegazione negli Stati Uniti per discutere dell'operazione.

L'esercito continua intanto a operare nell'ospedale Shifa di Gaza City dove, secondo il portavoce Daniel Hagari, è stato eliminato Raed Thabat, esponente di spicco delle Brigate Qassam, nella «top ten» di Hamas e vicino a Sinwar e Deif.

L'agenzia di stampa Shehab News ha invece riferito che Israele ha colpito, e fatto crollare, sempre a Gaza City un edificio che ospita diversi media, fra cui Sky News in arabo, ma non ci sarebbero state vittime. I morti nella Striscia – secondo i dati di Hamas che non è possibile verificare in modo indipendente – sono arrivati a 32.552, di cui 62 nelle ultime 24 ore, e 74.980 i feriti.

Sul fronte politico, il presidente Abu Mazen ha approvato il nuovo governo dell'Autorità nazionale palestinese guidato dal premier Mohammad Mustafa. L'esecutivo nasce in un momento in cui la comunità internazionale ha esortato Abu Mazen a intraprendere riforme istituzionali, in particolare per prepararsi al periodo post-bellico – e post Hamas – nella Striscia di Gaza.

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