Medio Oriente Piano di Netanyahu per Gaza, gelo degli USA

SDA

23.2.2024 - 21:25

La completa smilitarizzazione della Striscia, un «governo» di funzionari locali e senza legami con il terrorismo, la chiusura dell'Unrwa. Nel quinto mese di conflitto, il premier Benyamin Netanyahu ha presentato per la prima volta al gabinetto di sicurezza il piano che per Israele servirà come base per le future discussioni sulla gestione di Gaza nel dopoguerra. Un progetto che l'Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen ha subito respinto e bollato come «destinato al fallimento». «Non avrà mai successo», le ha fatto eco Hamas. Mentre gli Stati Uniti si sono mostrati più che scettici.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu parla durante la sessione di voto per l'impeachment del deputato del partito Hadash-Ta'al Ofer Cassif a Gerusalemme, il 19 febbraio 2024.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu parla durante la sessione di voto per l'impeachment del deputato del partito Hadash-Ta'al Ofer Cassif a Gerusalemme, il 19 febbraio 2024.
KEYSTONE/EPA/ABIR SULTAN

Il piano prevede obiettivi immediati e di medio termine. Tra i primi ci sono la continuazione della guerra fino alla distruzione militare e delle strutture di governo di Hamas e della Jihad islamica; il ritorno degli oltre 130 ostaggi ancora in mano alla fazione islamica e la rimozione di ogni minaccia di sicurezza per Israele che derivi dalla Striscia.

Nel medio termine, il progetto di Netanyahu indica la nascita di un governo civico per gli affari correnti e l'ordine pubblico retto «da funzionari locali con esperienze manageriali e non identificati con Stati o organizzazioni che sostengano il terrorismo e che non ricevano salari da questi». Nella formulazione di questo punto, il piano non fa alcuna menzione a un qualsivoglia ruolo dell'Anp, che invece gli Usa e la comunità internazionale vogliono coinvolgere.

E ancora: l'esercito israeliano manterrà la libertà di operare contro attività terroristiche in tutta Gaza. Prevista anche – altro punto di contrasto con gli Usa – la creazione di una zona cuscinetto sul lato palestinese della Striscia con la precisazione che resterà in vigore per il tempo «richiesto dalle necessità di sicurezza».

Israele vuole inoltre imporre una «chiusura» al confine sud della Striscia con l'Egitto, incluso il valico di Rafah, per impedire le attività di contrabbando di armi e quindi del terrorismo. Infine, si pone l'obiettivo di creare al posto dell'Unrwa «organizzazioni umanitarie internazionali responsabili».

Dure le reazioni

Gaza, ha replicato con durezza da Ramallah l'Anp, «sarà solo parte dello Stato palestinese indipendente con Gerusalemme come capitale, e qualsiasi piano diverso da quello è destinato al fallimento». «Israele – ha aggiunto l'Autorità palestinese – non riuscirà nei suoi tentativi di cambiare la realtà e i dati demografici di Gaza».

Anche il segretario di Stato americano Antony Blinken è parso molto critico: «Ho letto dei report ma non ho visionato il piano israeliano. Ad ogni modo – ha sottolineato – ci sono dei principi base che vogliamo far rispettare e tra questi che non ci dev'essere alcuna rioccupazione israeliana a Gaza».

Nuovi round di negoziati sugli ostaggi

Intanto a Parigi è in corso un nuovo round di negoziati sugli ostaggi con il direttore della Cia William Burns, l'Egitto, il Qatar e una delegazione israeliana guidata dal capo del Mossad David Barnea. Colloqui che, seppure nella cautela dovuta, sembrano ben indirizzati sulla scia dei «progressi» registrati al Cairo tra i mediatori e il leader di Hamas Ismail Haniyeh.

I passi avanti sono legati al minor numero di prigionieri palestinesi chiesti dalla fazione islamica rispetto a qualche giorno fa in cambio del rilascio dei rapiti israeliani.

Anche se ora si parla di 3.000 detenuti per 130 ostaggi circa: un rapporto di oltre 23 prigionieri per ogni ostaggio rispetto al 3 a 1 della precedente intesa di novembre. Tuttavia fonti palestinesi a conoscenza delle trattative – citate da Ynet – hanno fatto sapere che Hamas chiede ancora il ritiro totale dell'Idf da Gaza e un cessate il fuoco permanente.

A complicare la situazione c'è la decisione di Israele di avviare piani per la costruzione di 3.344 nuove case in Cisgiordania, in risposta all'attentato palestinese di giovedì: 2.350 a Maalè Adumim (presso Gerusalemme), 694 a Efrat e 300 a Keidar (Betlemme). Una decisione che ha sollevato un'ondata di critiche, a cominciare dagli Usa: «I nuovi insediamenti sono controproducenti per ottenere una pace duratura e non in linea con il diritto internazionale».