E alla fine si tenta la tregua. Dopo oltre 10 giorni di scontri, i più accesi da 30 anni a questa parte, Armenia e Azerbaigian hanno accettato di sedersi intorno a un tavolo – a Mosca, dove altrimenti? – per cercare di trovare un'intesa che silenzi le armi.
Con i buoni uffici dei co-presidenti del Gruppo di Minsk dell'Osce, ovvero Usa e Francia. Proprio da Parigi arrivano messaggi incoraggianti. Per l'Eliseo il cessate il fuoco arriverà o in nottata o domani. Il Cremlino, che il Gruppo di Minsk praticamente lo presiede, è rimasto più abbottonato e si è stretto in un no-comment di prammatica. O forse di scaramanzia.
L'Azerbaigian, spalleggiato questa volta dalla neo-ottomana Turchia, ha infatti tutta l'intenzione di chiudere la partita e il presidente Ilham Aliyev – proprio mentre il suo ministro degli Esteri Jeyhun Bayramov volava a Mosca per i negoziati con la controparte armena Zohrab Mnatsakanyan – si è rivolto alla nazione in tono trionfante.
«La linea del fronte non esiste più, l'abbiamo spazzata via: è la vittoria più grande da quando esiste l'Azerbaigian», ha tuonato in tv. La soluzione per il Nagorno-Karabakh, ha detto gonfiando il petto, non stava nei negoziati, durati 30 anni e sterili, ma nel blitz militare. «Ora noi stiamo dando all'Armenia l'ultima possibilità di risolvere il conflitto pacificamente», ha concluso. Il che, per Aliyev, vuol dire restituire «tutti i territori occupati» all'Azerbaigian. Altrimenti verranno comunque presi, ma 'manu militari'.
Non proprio un ramoscello d'ulivo
Ecco, non proprio un ramoscello d'ulivo. D'altra parte il mestiere della guerra questa volta sembra davvero venir meglio a Baku e l'Armenia pare incerta sul da farsi. I morti aumentano – secondo il ministero della Difesa della non riconosciuta Repubblica del Nagorno-Karabakh (NKR) oggi altri 26 militari sono periti negli scontri, per un totale di 376 dall'inizio delle ostilità – e il conflitto rischia di allargarsi.
Il premier russo Mikhail Mishustin ha incontrato il suo omologo armeno Nikol Pashynian a Erevan, dove era già previsto un summit dell'Unione Economica Euroasiatica, e lì ha esortato i duellanti a seppellire l'ascia di guerra. Non proprio tifo sfrenato, insomma. Per l'Armenia è un problema, dato che ha sempre potuto contare sul sostegno russo.
Ma Pashynian è un leader giovane, salito alla ribalta grazie a una rivolta popolare, ovvero un CV di norma non gradito, al Cremlino. Invece Ilham Aliyev è l'emblema della stabilità, interprete di una politica estera indipendente eppure mai in contrasto con Mosca. Un valore che Vladimir Putin è incline a premiare. Dunque il futuro di questi negoziati è tutto da scrivere, al di là di una possibile tregua immediata.
Certo, nel mentre si va avanti a combattere, non solo coi cannoni. L'Armenia è tornata ad accusare Baku non solo di aver bombardato la storica cattedrale di Shusha, ma di averlo fatto due volte con «l'intenzione di colpire i giornalisti» e quindi impedir loro di documentare «i crimini di guerra» azeri. Ad esserci andati di mezzo, peraltro, sono stati dei reporter russi e uno di loro è in gravi condizioni.