Sale la tensione in Ucraina Dopo l'esplosione sul ponte si teme la reazione di Putin, umiliato e colpito nell'orgoglio

SDA

8.10.2022 - 20:38

L'allarme di un apocalisse nucleare lanciato da Joe Biden assume un significato tutto nuovo alla luce dell'esplosione sul ponte di Kerch, il principale collegamento fra la Russia e la Crimea e fiore all'occhiello di Vladimir Putin.

L'incidente, di cui ufficialmente nessuno ha ancora reclamato la responsabilità al di là dello scambio di accuse, rischia di aprire una nuova fase ancora più dura della guerra e innescare una violenta reazione da parte di un Putin, umiliato e colpito nell'orgoglio.

Ad agitare la Casa Bianca è proprio una possibile vendetta del presidente russo che, sempre più all'angolo e disperato, potrebbe in extremis ricorrere alle armi nucleari costringendo la comunità internazionale, Stati Uniti in primis, a rispondere. L'amministrazione procede con cautela, consapevole di muoversi in un campo minato: da un lato il sostegno a Kiev è stato finora assoluto e – è l'assicurazione ripetuta da mesi – continuerà a esserlo.

Dall'altra parte però Biden non vuole ritrovarsi in prima linea nello scontro e chiede quindi responsabilità a Kiev, già irritualmente indicata dai servizi statunitensi come unica responsabile dell'uccisione di Daria Dugina, la figlia del filosofo ultranazionalista russo Alexander Dugin. Una morte a cui si somma l'attentato a Kerch e che, è il timore a Washington, potrebbe scatenare l'ira irrefrenabile del Cremlino.

Risposta nucleare a un attacco nucleare?

Mentre il presidente e l'intelligence statunitense si interrogano, finora senza risposta, su quale potrebbe essere una via di uscita dalla guerra senza che lo zar sia costretto ad ammettere la sconfitta, dietro le quinte si lavora allo scenario peggiore, ovvero quale potrebbe essere la risposta americana a un attacco nucleare.

Secondo diversi osservatori, non è scontato che gli Stati Uniti rispondano al nucleare con il nucleare, anzi «non sarebbe l'ipotesi privilegiata», ha affermato Joel Rubin, ex del Dipartimento di Stato durante l'era Obama, ipotizzando invece un isolamento totale della Russia a livello globale. «Risponderebbe la Nato tramite gli ucraini senza entrare nel Paese», ha sostenuto dal canto suo Robert Wilkie, sottosegretario alla Difesa nell'amministrazione Trump.

Di certo c'è che per lunghe ore dopo l'attacco di stamattina Casa Bianca e Dipartimento di Stato sono rimasti in silenzio. Probabilmente nient'affatto rassicurati dalle parole del ministro degli Esteri Serghei Lavrov sul fatto che Mosca sia «impegnata a rispettare la dichiarazione delle cinque potenze nucleari secondo cui la guerra nucleare è inaccettabile». L'ultima parola, su questo come su tutto il resto, spetta sempre a Putin.

Il ponte dello zar che collega la Russia alla Crimea

Ha poco più di quattro anni il famoso ponte Kerch, l'infrastruttura strategica per l'approvvigionamento che collega la Russia alla Crimea, danneggiato oggi da un'esplosione.

Gioiello della tecnologia russa, costato a Mosca 3,7 miliardi di dollari d'investimento, il ponte, lungo quasi 19 chilometri, è composto da un doppio viadotto, sia stradale che ferroviario, ed è l'unica via di collegamento diretta tra la penisola annessa nel 2014 e la regione russa di Krasnodar. È il ponte più lungo sia della Russia sia dell'Europa e presenta soluzioni ingegneristiche all'avanguardia ideate per domare le potenti correnti dello stretto e il fondale melmoso.

L'apertura al pubblico in pompa magna avvenne il 15 maggio del 2018 in presenza dello stesso presidente russo Vladimir Putin che si mise alla guida di un camion attraversando il troncone dedicato al traffico veicolare.

Terminato con sei mesi di anticipo rispetto alla tabella di marcia, il ponte era stato da sempre un sogno dei leader del Cremlino, già dall'epoca zarista, per collegare la penisola alla madre patria russa. La sua costruzione ha permesso a Mosca di avere il pieno controllo delle acque del mare di Azov e del transito in queste aree attraverso lo Stretto di Kerch.

Una linea logistica cruciale per Mosca soprattutto dal 24 febbraio in poi, per far transitare più facilmente armi, munizioni ma anche rifornimenti di carburante verso le aree calde del conflitto, in particolare nella regione di Kherson, riducendo i tempi rispetto ai traghetti che d'inverno si trovano ad affrontare condizioni proibitive per i venti ed il mare impetuoso.