Guerra in Medio Oriente Il senatore americano Schumer attacca Netanyahu: «È un ostacolo alla pace»

SDA

14.3.2024 - 20:54

«La coalizione di Netanyahu non soddisfa più i bisogni di Israele», ha tuonato al Senato Chuck Schumer definendo il premier israeliano come «un ostacolo alla pace» e chiedendo nuove elezioni (foto d'archivio).
«La coalizione di Netanyahu non soddisfa più i bisogni di Israele», ha tuonato al Senato Chuck Schumer definendo il premier israeliano come «un ostacolo alla pace» e chiedendo nuove elezioni (foto d'archivio).
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Benjamin Netanyahu rappresenta un ostacolo alla pace, bisogna andare a nuove elezioni in Israele e cambiare rotta nella guerra a Gaza. L'affondo del leader della maggioranza democratica al Senato americano Chuck Schumer ha reso eclatante lo scontro che si sta consumando tra il premier israeliano e l'amministrazione di Joe Biden, che oggi ha varato nuove sanzioni contro avamposti illegali ebraici e coloni.

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L'accusa di Schumer è stata respinta con sdegno dal Likud, il partito del premier, che ha replicato all'influente esponente dem che Israele «non è una repubblica delle banane». Il tutto alla vigilia del primo venerdì di Ramadan per il quale, per la seconda volta, Hamas ha chiamato i palestinesi di Cisgiordania e Gerusalemme ad una escalation sul terreno contro «il nemico sionista».

Una mossa che fa il paio con l'omaggio che la fazione palestinese ha rivolto al «cambio della retorica» del capo della Casa Bianca che, tuttavia, «va messo alla prova».

«La coalizione di Netanyahu non soddisfa più i bisogni di Israele», ha tuonato al Senato Schumer definendo il premier israeliano come «un ostacolo alla pace» e chiedendo nuove elezioni e «significative correzioni di rotta» nella guerra a Gaza.

«Il popolo israeliano – ha proseguito – è soffocato in questo momento da una visione di governo bloccata nel passato». Netanyahu, ha accusato ancora il leader dei senatori democratici, sta perseguendo «politiche pericolose e provocatorie che mettono alla prova gli standard di assistenza esistenti negli Stati Uniti».

«Israele non è una repubblica delle banane»

Schumer ha inoltre invitato gli Stati Uniti a «svolgere un ruolo più attivo nel plasmare la politica israeliana utilizzando la nostra influenza», se Netanyahu rimarrà al potere. Un attacco a tutto campo al quale il Likud in un comunicato ufficiale ha opposto una secca risposta.

«Israele – ha denunciato il partito del primo ministro – non è una repubblica delle banane ma una democrazia fiera e indipendente che ha eletto come premier Benjamin Netanyahu. Ci aspettiamo che il senatore Schumer rispetti il governo eletto di Israele e non lo mini alla base. Questo è valido sempre, tanto più in tempo di guerra».

«Sanzioni inaccettabili»

Ma i ferri corti non sono finiti. L'amministrazione Biden ha annunciato infatti una seconda ondata di sanzioni che hanno colpito due avamposti ebraici illegali in Cisgiordania e tre coloni con l'accusa di essere «coinvolti in atti di violenza o minacce di violenza contro i civili, distruzione, sequestro o esproprio di proprietà» palestinesi. Una mossa che ha scatenato la reazione della destra radicale di governo in Israele.

Il ministro delle Finanze e leader di Sionismo religioso, Bezalel Smotrich, ha liquidato come «inaccettabili» le sanzioni. Poi ha accusato il governo americano di essersi «arreso alla campagna Bds (per il boicottaggio di Israele, ndr) volta ad offuscare l'intero Stato di Israele e istituire uno stato terrorista palestinese». Mentre il collega della Sicurezza nazionale e leader di Potere ebraico Itamar Ben Gvir ha definito le misure «un coltello conficcato nella schiena».

L'esercito israeliano entrerà comunque a Rafah

Al 160esimo giorno di guerra, nel vuoto di nuovi negoziati indiretti tra le parti per fermare il conflitto, Netanyahu, parlando con le famiglie degli ostaggi, ha detto che «per la prima volta» si assiste ad «una pressione del Qatar su Hamas». «Doha – ha spiegato – ha iniziato a dire loro *vi butteremo fuori", "vi priveremo dei soldi". È un cambiamento, è una cosa positiva».

Poi, denunciando che da Hamas finora non «è arrivata una vera risposta», ha ammonito che l'obiettivo della fazione islamica «è incendiare il terreno per Ramadan». Il premier ha quindi confermato ancora una volta che Israele «entrerà a Rafah nonostante le pressioni internazionali», mentre il portavoce militare ha ribadito che Israele in questa previsione intende spostare da lì «1,4 milioni milioni» di rifugiati palestinesi, anche se i piani non sono ancora pronti.

In Cisgiordania invece il presidente palestinese Abu Mazen ha formalizzato l'incarico di premier per Muhammad Mustafa, al posto del dimissionario Mohammed Shtayyeh. Un ricambio complessivo invocato anche dagli americani.