Medio Oriente Biden torna in campo: «Serve la tregua a Gaza entro il Ramadan»

SDA

5.3.2024 - 21:35

Il presidente statunitense Joe Biden prova a dare una scossa ai negoziati su Gaza in permanente stallo, tornando a premere in prima persona per un accordo su una tregua prima dell'inizio del Ramadan. Un fallimento al Cairo sarebbe «molto pericoloso», ha avvertito il presidente americano, rivolgendosi alle due parti con pari nettezza: «Tutto è nelle mani di Hamas» per accettare i termini «ragionevoli» di un cessate il fuoco, ma allo stesso tempo Israele «non ha scuse per bloccare gli aiuti umanitari», è la posizione della Casa Bianca.

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden in una foto di fine febbraio (immagine d'illustrazione).
Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden in una foto di fine febbraio (immagine d'illustrazione).
KEYSTONE/EPA/ADAM DAVIS

Nella capitale egiziana la giornata si è conclusa per l'ennesima volta con un nulla di fatto e il 10 marzo, data di inizio del mese di digiuno per i musulmani, è sempre più vicino. Washington teme che la prosecuzione delle ostilità in questo lungo periodo di tempo sarebbe devastante per una popolazione di Gaza già stremata, oltre al fatto che potrebbero verificarsi nuovi episodi di violenza a Gerusalemme, sulla Spianata delle Moschee.

Biden ha sottolineato che gli israeliani sono stati «cooperativi» e che sul tavolo c'è una «proposta ragionevole» per una tregua di sei settimane ed il rilascio degli ostaggi. Quindi per il presidente degli Usa l'intesa si può raggiungere con il sì di Hamas.

Anche lo Stato ebraico, però, deve fare la sua parte per evitare una catastrofe umanitaria, consentendo il pieno accesso dei camion da Rafah: «Servono più aiuti», ha ammonito Biden, mentre i cargo americani hanno lanciato dagli aerei oltre 36'000 pasti nel nord, come parte di un'operazione congiunta con la Giordania.

Non ci sono segnali di un'imminente svolta

I colloqui in Egitto riprenderanno mercoledì, e per il Dipartimento di Stato americano gli ostacoli al cessate il fuoco «non sono insormontabili», ma le lancette dell'orologio continuano a girare velocemente e al momento non ci segnali di un'imminente svolta.

Gli israeliani non hanno ancora inviato una propria delegazione al Cairo, perché non hanno ricevuto i nomi degli ostaggi vivi, mentre Hamas ha insistito con il suo mantra, «l'intesa sulla tregua è nella mani di Israele e degli Usa», avvertendo poi che «la via dei negoziati non sarà aperta indefinitamente».

Gantz al centro della scena

Sul fronte israeliano intanto è Benny Gantz che continua a rimanere al centro della scena. Il leader centrista, nel corso della sua missione a Washington, dove ha incontrato tra gli altri la vicepresidente Kamala Harris, il segretario di Stato Antony Blinken, il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan e il segretario della difesa Lloyd Austin, ha mostrato agli americani la sua visione del futuro di Gaza: «Un'amministrazione internazionale in cooperazione con i paesi della regione».

Nulla di più indigesto per Benyamin Netanyahu, che vuole mantenere il controllo sulla sicurezza della Striscia (e di tutti i Territori palestinesi) a tempo indefinito.

Non a caso il premier ha sconfessato la missione negli Usa di Gantz, che in molti accreditano come il suo più probabile successore alla guida del paese. L'ex ministro ed attuale esponente del gabinetto di guerra d'altra parte si conferma sempre più attivo nel tessere la sua tela di relazioni, e dopo gli Usa vola a Londra per incontrare il ministro degli esteri britannico David Cameron.

Tensione ai confini settentrionali

In questa fase il governo israeliano, oltre al conflitto a Gaza, guarda con attenzione ai confini settentrionali. Il ministro della difesa Yoav Gallant ha ricevuto l'inviato di Biden, Amos Hochstein, ammonendo che «l'aggressione degli Hezbollah sia trascinando le parti verso una pericolosa escalation''.

Tra le forze armate israeliane e le milizie di Hezbollah ci sono stati intensi scambi di fuoco, e secondo i media libanesi tre civili sono rimasti uccisi in un raid dell'aviazione dello Stato ebraico che ha colpito una casa.