Mottarone Mottarone: le versioni degli indagati divergono

SDA

31.5.2021 - 09:49

Rimangono importanti divergenze nelle versioni degli indagati per il dramma della funivia del Mottarone, costato la vita a 14 persone domenica scorsa. Per il caposervizio Tadini il gestore Nerini e soprattutto il direttore d'esercizio Perocchio sapevano della pratica divenuta «prassi» di mettere i forchettoni per bloccare i freni. Perocchio si difende a mezzo stampa. Intanto le condizioni del bimbo di 5 anni, unico sopravvissuto, migliorano.

I freni della funivia del Mottarone sono stati disinseriti per evitare ripercussioni di carattere economico dovute alla manutenzione. Lo afferma la procura di Verbania, in merito al disastro che domenica 23 maggio 2021 ha causato 14 morti.
I freni della funivia del Mottarone sono stati disinseriti per evitare ripercussioni di carattere economico dovute alla manutenzione. Lo afferma la procura di Verbania, in merito al disastro che domenica 23 maggio 2021 ha causato 14 morti.
KEYSTONE/EPA

31.5.2021 - 09:49

Il giudice per le indagini preliminari (gip) smonta l'inchiesta della procura di Verbania sulla tragedia della funivia del Mottarone, costata la vita, il 23 maggio, a 14 persone: non convalida i fermi, rimette in libertà due indagati su tre, si dissocia da una buona parte delle prime conclusioni dei pubblici ministeri.

Agli arresti domiciliari resta solo Gabriele Tadini, il dipendente con mansioni di caposervizio: era stato lui che, con una «condotta scellerata – si legge nell'ordinanza di custodia – in totale spregio della vita umana», aveva deciso di lasciare inseriti i ceppi che bloccavano i freni di emergenza; e fu lui, una volta, secondo la testimonianza di un collega, a dire «prima che si rompa una traente (un cavo – ndr) ce ne vuole».

Ma non c'è prova che il gestore Luigi Nerini e il direttore di esercizio Enrico Perocchio, liberati entrambi, fossero d'accordo. «Sul piano investigativo non la vivo come una sconfitta, siamo solo all'inizio», dichiara la procuratrice Olimpia Bossi annunciando nuovi accertamenti tecnici e una serie di conseguenti avvisi di garanzia.

Tesi economica poco credibile?

Il gip Donatella Banci Buonamici non ha accolto una serie di osservazioni dei pubblici ministeri. A cominciare dal timore del pericolo di fuga dei tre indagati, giudicato inesistente anche perché non basta che ci sia del «clamore mediatico» per dimostrare che qualcuno di loro volesse scappare.

Poi «non convince» l'idea che i vertici dell'azienda di gestione non volessero fermare l'impianto, da poco riaperto, per ragioni economiche: «La stagione turistica – scrive il giudice – non è ancora iniziata» e almeno fino a giugno, con l'allentamento delle restrizioni anti-Covid e la chiusura delle scuole, non sono prevedibili i grandi afflussi degli anni passati».

Il giudice, infine, si spinge fino a vibrare una stoccata in merito al caso di un testimone – un addetto della funivia – che a suo dire «non avrebbe mai dovuto essere interrogato come persona informata sui fatti», cioè come teste, bensì come indagato.

Ora sarà necessario capire per quale motivo, il 23 maggio, poco dopo le 12.00, si è spezzato un cavo, cosa che ha provocato la «folle corsa» verso valle della cabina 3, priva del freno di emergenza, e lo schianto al suolo. «Quando avremo un quadro chiaro delle società e delle persone da coinvolgere negli accertamenti tecnici manderemo degli avvisi», spiega Bossi.

Non è detta l'ultima parola sui «forchettoni»

Ma è sui «forchettoni», o i «ceppi» secondo il gergo degli operai della funivia, che il gip ritiene che l'ultima parola, nella caccia ai responsabili, non sia stata ancora detta. Si tratta di dispositivi che impediscono al sistema frenante della cabina di scattare in caso di necessità. Quando l'impianto è in funzione, devono essere rimossi.

Eppure il 23 maggio c'erano. «Sono allibito», ha affermato un addetto quando i carabinieri gli hanno mostrato la fotografia.

Secondo le indagini era il caposervizio Tadini a ordinare di mettere o togliere i forchettoni (quando non lo faceva di persona), ma il gip afferma che almeno qualcuno di loro «poteva benissimo rifiutare». Ora sarà la procura di Verbania a decidere se allargare la platea degli indagati.

Tadini ha detto che dall'8 maggio lasciò inseriti i ceppi in varie occasioni, «una decina di volte». La cabina 3 aveva un problema alla centralina idraulica dei freni, si fermava a singhiozzo e nemmeno i manutentori della Rvs di Torino (al lavoro in subappalto per conto dell'altoatesina Leitner) erano riusciti a venirne a capo. Da qui la decisione di lasciarli al loro posto.

Tadini: «Lo sapevano tutti, mi hanno detto 'arrangiati'»

Tadini sostiene che «lo sapevano tutti» e, in particolare, il gestore Nerini e il direttore Perocchio, ma i due hanno negato e per il gip le testimonianze dei dipendenti accreditano la loro versione.

A Enrico Perocchio, il direttore di esercizio della funivia del Mottarone, prosegue nella sua testiomianza Tadini, «ho detto che andavo avanti coi forchettoni e lui non mi ha risposto» e «l'ho detto anche a Nerini che mettevo i ceppi» e il gestore dell'impianto «mi diceva 'arrangiati'». Insomma usare i forchettoni per bloccare i freni era «diventata la prassi».

«In 20 giorni ho chiesto 3 volte assistenza», ha spiegato ancora parlando delle anomalie ai freni. «E ho detto a Perocchio – ha aggiunto – che se non si risolveva non poteva andare avanti col servizio» ha terminato Tadini.

Una sola testimonianza a suo favore

Solo il verbale di un lavoratore, uno dei manovratori in servizio il giorno della tragedia, sembra confortare il racconto di Tadini. Ma il giudice non è convinto della genuinità del suo racconto. L'uomo – ha spiegato un collega – avrebbe dovuto togliere il forchettone, con l'autorizzazione di Tadini, prima di effettuare la corsa di prova.

Non lo fece, e secondo il gip, quando fu interrogato, «sapeva bene del rischio di essere lui stesso incriminato per avere concorso a causare con la propria condotta, che poteva benissimo rifiutare, la morte d 14 turisti».

Perrocchio: «Non lo sapevo»

«Io non sapevo dei forchettoni. Se avessi saputo non avrei avallato quella scelta. Lavoro negli impianti a fune da ventuno anni e so che quelle sono cose da non fare mai, per nessuna ragione al mondo». Lo ha detto, in un'intervista lunedì alla Stampa, l'ingegnere Enrico Perocchio, direttore tecnico della funivia del Mottarone, dopo la scarcerazione.

«Sono stati sei giorni pesantissimi: questa accusa è devastante. Ora sono finalmente un po' sollevato. Torno in famiglia», aggiunge. E sui lavori di manutenzione all'impianto chiarisce: «Tutte le manutenzioni sono state fatte. Era tutto a posto. Ora vedremo le analisi sulla rottura della fune per capirne le ragioni».

«Se mi fosse caduto l'occhio sui forchettoni, colorati di rosso proprio per iniziativa mia, che li volevo ben visibili, li avrei fatti togliere subito», aggiunge Perocchio.

«Insomma è stato un errore mettere i forchettoni per ovviare a un problema che si poteva o risolvere. Bastava chiudere l'esercizio uno o due giorni, basta bloccare la funivia e si risolveva il problema. Questo è un periodo di bassa stagione», afferma il direttore tecnico della funivia.

Le condizioni del bimbo migliorano

Intanto, nel giorno in cui il Piemonte veste i colori del lutto per la tragedia del Mottarone, arriva dall'ospedale Regina Margherita di Torino la notizia che il piccolo Eitan, l'unico sopravvissuto all'incidente, ha cominciato a mangiare.

«Le condizioni di Eitan – dicono i medici – sono in significativo miglioramento anche se la prognosi rimane riservata. Per la prima volta ha potuto assumere alimenti morbidi e leggeri». Il bimbo rimane in rianimazione per precauzione. Se non ci saranno complicazioni nei prossimi giorni verrà sciolta la prognosi. Accanto a sé ha sempre la zia Aya e la nonna arrivata da Israele nei giorni scorsi.

È passata una settimana dal terribile schianto della funivia costato la vita a 14 persone. A mezzogiorno in punto su Stresa è calato per un minuto il silenzio. Tutto si è fermato. Compresi i molti turisti che camminavano sul lungolago dove ancora molti alberghi sono chiusi per la pandemia. Qualcuno è anche salito verso la vetta del Mottarone per una breve commemorazione sul luogo della disgrazia.

Bandiere ancora a mezz'asta

«Non abbiamo promosso altre iniziative – dice la sindaca Marcella Severino – perché la nostra vicinanza ai familiari delle vittime l'abbiamo dimostrata e continueremo a farlo. Il nostro silenzio è la cosa migliore nel rispetto di chi soffre e di chi ha perso la vita». Da una settimana le bandiere del municipio di Stresa sono a mezz'asta e da allora anche sul sito del Comune lo stemma di Stresa è avvolto da un nastro nero.

«È stata una strage immane che il Piemonte con profondo sentimento e senso di dolore non dimenticherà mai», dice il presidente del consiglio regionale, Stefano Allasia, mentre il governatore Alberto Cirio rivolge «a tutte le famiglie distrutte da questa follia il nostro abbraccio forte».

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